“Il nostro comune amico” cap. IX

Attraverso il dialogo fra i signori Boffin non solo vediamo le differenze di vedute dei due coniugi, ma anche come all’ereditare una notevole somma nasca, quasi spontanea, la voglia di rivalsa, di migliorare il proprio stato sociale e di togliersi qualche sfizio. Credo che sia insito nell’essere umano diminuire le fatiche attraverso i soldi e realizzare qualche piccolo sogno di grandezza. Eppure in tutti questi discorsi di carrozze e cambiare casa la stilosa signora Boffin svela il suo lato umano pensando alla ragazza rimasta senza marito (e stiamo parlando di Bella Wilfer), anzi vedova senza essere stata mai sposata, e pensando anche di adottare un orfano in ricordo del giovane Harmon (di cui vengo a scoprire, o forse a ricordare, il nome: Giovanni). Con uno strano discorso anche lo stesso Dickens elogia questa coppia magari dalla società considerata non all’altezza, magari con desideri anche egoistici, ma con una morale ferrea e buona, rivolta a fare del bene agli altri.

Strano a mio parere l’intermezzo di uscita di casa dei signori Boffin per andare dal reverendo, riguardo la questione dell’orfano. Giovinastri urlano contro “Abbasso i rifiuti, Boffin!” oppure motteggi sul nome. Non capisco la motivazione, se non per la recente loro eredità che fa scatenare le invidie (anche perché gli altri vicini si dimostrano cordiali). Come al solito questi intermezzi che dovrebbero suscitare emozioni o scandalo, per me risultano un po’ campati per aria e sconnessi dal ritmo del racconto.

Conosciamo il giovane e paziente reverendo Franco Milvey, con la sua famiglia giovane e numerosa (12 figli piccoli). La moglie Margherita risulta una persona garbata, ma sfiancata da preoccupazioni e dall’impegni che comporta essere la moglie di un pastore e la madre di così tanti figli. Per quanto il reverendo e la moglie siano due personaggi positivi è terribile la contrattazione e la scelta che fanno per cercare un organo per i Boffin: sembra che non parlino di bambini, ma di merce da sistemare, barattare, valutare e scegliere. Non credo nemmeno che sia “colpa” loro, ma forse Dickens anche qui da una vera scoccata velenosa alla propria società e alla visione che si ha del valore delle persone. Mi auguro che Dickens sia così elegantemente caustico e non un semplice spettatore passivo.

Tutt’altro accoglimento in casa Wilfer dove l’apparenza (ma non ben celata) viene a sopperire alla sostanza. Di certo la situazione è di quelle strane da gestire: due sconosciuti entrano in casa e chiedono di poter avere in affido la figlia per non si sa quale motivo, se non con la giustificazione che avranno una bella casa e lei è troppo bella per stare rinchiusa. Ovvio che noi sappiamo tutti i dettagli che congiungono i vari personaggi e le vere intenzioni che stanno alla base, ma come è strutturato il discorso posso capire il sussiego della signora Wilfer a certe richieste. L’intervento piccato della figlia più giovane Lavinia un po’ mi ha rispecchiato: parlare delle persone presenti come se non ci fossero o non avessero diritto di parola non è proprio il massimo. Come avevamo visto prima fra le due sorelle corre non ottimo sangue e tantissima gelosia, ma questa giovane (per Bella bambina) Lavinia dimostra un carattere irruente e deciso a non farsi comandare da nessuno.

E mentre parlano finalmente siamo venuti a conoscenza di chi si intende essere “il nostro comune amico”: il signor Rokesmith! Così lo chiama Boffin cercando informazioni dalla signora Wilfer. Come immaginavo questo signor Rokesmith “nasconde un mistero” (io ho in mente una cosa e vedrò se ci ho visto giusto o forse è colpa dei troppi libri gialli letti), ma quando viene nominato Giovanni Harmon impallidisce, facendo capire che egli conosce nome e situazione e morte del ragazzo.

E fra i due, Bella e Rokesmith, inizia il gioco del “io so che tu sia che io so”, dove uno dice una cosa e l’altro arrossisce così, ma sono ancora lontanissimi dal sol pensiero di essere innamorati!

Conclude il capitolo la signora Wilfer ritornando sulla visita dei signori Boffin e con la loro richiesta: come mi potevo immaginare, immedesimandomi, ella vede del “marcio” nelle loro intenzioni e se ne spaventa.

dipinto di Giovanni Boldini
“Parigi di notte”