“Follie per sette clan” di P. K. Dick

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dal sito della Fanucci il link al libro

Cosa succederebbe se la luna Alfa III L2, ex ospedale psichiatrico terrestre, diventasse terreno di conquista o riconquista da parte dei terrestri e degli alfaniani, ma nessuno volesse dirlo espressamente, anzi?

Questo è il cardine attorno al quale ruotano almeno due vicende: quella degli abitanti della luna e quella personale di Chuck Rittersdorf marito, anzi oramai ex marito della consulente matrimoniale e psicologa andata volontaria sulla luna per iniziare un progetto di controllo e terapia sugli abitanti. Questi due filoni si incroceranno violentemente proprio sulla luna Alfa III L2, dove da un lato i sette clan, ossia le sette divisioni dei pazienti mentali, si chiederanno come resistere e rimanere indipendenti, combattento fisicamente la nuova invasione terrestre e dall’altro Chuck, nel tentativo di esistere (molto diverso dal resistere) come individuo e, cercando di far valere se stesso o rivendicare qualcosa, dovrà fare i conti con la moglie.

Chuck Rittersdorf è un personaggio perdente, sballottato dagli eventi e dalle decisioni altrui, con una moglie impositiva che per il suo bene (ovviamente suo bene è tutto molto personale e discutibile) vorrebbe fargli fare una carriera diversa dalle sue decisioni; con un lavoro senza vere prospettive di realizzazione personale (una sorta di “tu dimmi quello che devo scrivere e io lo scrivo”), dove i suoi superiori ne sfruttano le capacità tranne poi mollarlo nel momento più nero. E in aggiunta a tutto ciò, come se non bastasse, i suoi nuovi vicini di casa sono una muffa gelatinosa che legge nella mente e che lo costringe a prendere scelte per la vita lavorativa e non solo, e una consulente Psi (ovvero con poteri psionici) della polizia. Chuck sembra una vera e propria pallina da ping pong sballottata dagli eventi, usata dai personaggi più particolari per risolvere questioni, buttato in una mischia ben più grande di lui, dove gli interessi planetari vanno a sovrastare quelli personali. Per chiunque avesse letto la biografia di Dick scritta da Carrere “Io sono vivo, voi siete morti” si possono riscontrare tratti comuni fra Chuck e Dick stesso, con la sua difficoltà di mantenere i rapporti personali con le proprie mogli (quasi tutte con caratteri e personalità strutturate o indipendenti e per questo poco inclini a sopportare fino all’esagerazione alle paranoie e difficoltà dello scrittore), con tratti di paranoia nei confronti di chi detiene il potere e la gestione delle comunicazioni (non a caso usa l’acronimo CIA per l’ente per cui lavora il protagonista), incapacità di prendere di petto la propria vita e trovare un modo per rimetterla in piedi. La grande differenza, a mio parere, sta nella conclusione del romanzo e con la decisione del protagonista nei confronti della moglie.

La parte più “originale” a mio parere è la costruzione della luna con i sette clan divisi e organizzati come le caste indiane, dove la malattia mentale ha sviluppato veri e propri tratti distintivi ben riconoscibili, ma propositivi per la sopravvivenza del pianeta: l’interazione viene lasciata ai margini e ben organizzata secondo le diverse attitudini e una specie di consiglio di “saggi” si riunisce per la gestione delle situazioni d’emergenza. La particolarità di questo aspetto del romanzo è il crescente svelamento di chi sono gli abitanti di Alfa III, anche se dall’inizio la definizione di ex ospedale psichiatrico terrestre la dice lunga di come la Terra un tempo prese la decisione di “epurare” la propria popolazione e allontanare chi fosse “difettoso”, salvo poi dimenticarsene e lasciarli al loro destino. E il loro destino lo hanno forgiato, costruendo società differenti basate sui diversi problemi mentali più comuni (paranoia, schizzofrenia, depressione, ossessivo-compulsivo etc.), con al centro una città denominata in base a personaggi famosi ritenuti malati di quel determinato disturbo (es. i Para vivono a Adolfville da Adolf Hitler, considerato un paranoico per eccellenza). Non è chiaro se ci sia un qualche tipo di valutazione esterna per le generazioni successive all’abbandono terrestre per determinare le appartenenze alle classi, ma quello che viene a leggersi è che non c’è più la considerazione di una malattia, ma l’appartenenza a una “specie eletta”, una sorta di caratteristica dominante che specializza l’individuo rendendolo a suo modo speciale e inquadrabile. Poi da questa schematizzazione escono i “santi” ovvero persone con capacità extra clan che riusciranno attraverso le visioni e una sorta di dominio sullo spazio a impedire la riconquista terrestre. Questo è l’aspetto più mistico tipico della fantascienza di Dick, dove a personaggi perdenti si aggiungono personaggi con doti talmente superiori da non esserne quasi in grado di comprenderne il potere: i nostri tre santi, apparteneneti a tre clan diversi, sono come usati dai loro stessi poteri più che dominarli, diventando strumento per la salvezza della luna e mai esercitando altro potere all’interno del consiglio dei sette clan. Alla fine, ancora una volta, Dick sembra voler sottolineare la fragilità di determinati individui, il peso che portano e anche, allo stesso tempo, il distacco che attuano nei confronti della società in cui agiscono.

Voto: 7 e mezzo. Per una volta non ho letto il romanzo in apnea, ma mi sono fatta trascinare dalla scorrevolezza dello stile, senza troppe domande sulle forzature di trama (dovute al dover “usare” il protagonista come unico polo narrante della vicenda) o sul fatto che sarebbe stato interessante leggere maggiormente la parte dedicata ad Alfa III e ai suoi abitanti.

Consigliato: prima di tutto a coloro che hanno o stanno partecipando alla challenge su instagram fatta da @sonosololibri dedicata alla distopia o fantascienza con il tema di ottobre sugli “alieni e mutanti”. Secondariamente a chi fosse appassionato del tema della malattia mentale nella fantascienza, senza doversi leggere un trattato scientifico, con una trattazione molto particolare e in qualche modo edificante. Terzo per chi volesse leggere una storia d’amore, perché il romanzo secondo me è anche questo, dove l’amore o il rapporto amoroso non è solo una semplice attrazione, ma la conseguenza di azioni e reazioni finché uno dei due prende una decisione anche difficile, ma ponderata. É strano parlare d’amore in un romanzo di Dick, almeno secondo me, perché per quanto in molti suoi romanzi ci siano uomini e donne che instaurano qualche tipo di relazione, spesso in momenti di difficoltà, qui in qualche modo si sviscera il rapporto matrimoniale alla sua fine, con tutte le conseguenze possibili legate al divorzio e alla distruzione di quel rapporto. Per chi volesse leggere un romanzo di Dick scorrevole, piacevole e con pochi salti di stile.

Link da leggere:

Da Andromeda Rivista di Fantascienza, link sulla recensione del libro

Per conoscere meglio il lavoro dell’artista della copertina (a mio modesto parere molto interessante e provocatoria), Antonello Silverini, link al suo sito

 Scheda tecnica

Titolo originale “Clans of the Alphane Moon”

traduttore Paolo Prezzavento

introduzione di Carlo Pagetti

postfazione di Oriana Palusci

anno di pubblicazione 1968

casa editrice Fanucci Editore

stampato 2005, Printed in Italy

copertina illustrazione di © Antonello Silverini

progetto grafico di Grafica Effe

pagine 246

prezzo €14,00

 

Libri per spaventarvi

Classico da bookblogger è arrivare sotto Halloween e tirar fuori i consigli per la lettura a tema paura, spavento, tragenda e mostroni vari. Tendenzialmente si consigliano dei grandi classici, spesso appena usciti, freschi freschi di stampa o ristampa nella versione casa editrice indipendente o casa editrice grossa; oppure, per i più arditi, si va anche di graphic novel ma rimanendo sempre nel classicone. Quest anno, non so come ho fatto, mi sono impegnata e su instagram ho tirato fuori dalla mia libreria i miei classici in vecchie edizioni che ora manco nelle bancherelle si trovano più.

Quindi ecco qua i miei veloci consigli di lettura, così come sono usciti su instagram per la mia personale creepy week.

20181024_114239_wm[1]1 “Dracula” di Bram Stoker.

Partiamo da uno dei capisaldi della letteratura vampiresca. Per quanto non sia il primo è di certo il più conosciuto e di sicuro quello che ha avuto anche maggior fortuna a livello cinematografico e dell’immaginario in generale. Dracula è un cattivo e su questo non ci piove: quello che lo muove in ogni sua azione è il possesso e il potere sugli uomini. E’ anche un personaggio tragico, condannato da se stesso a un patto con il demonio che ha portato il suo essere in una condizione che non è: non è vivo, non è morto, sente una sete, ma non può soddisfarla, pulsioni che sono portate alla distruzione. Il suo fascino è frutto di una magia oscura che egli esercita su personaggi deboli o insicuri, ma anche su quelli che, alla fine, sembrano rinchiusi in un ruolo prestabilito. Perché la storia “d’amore” fra Mina e Dracula affascina? Perché lui vuole chi non può avere facilmente, la sfida, la conquista; lei trova in quel mostro sia l’aspetto da salvare (quando smetteremo di fare le crocerossine?), ma soprattutto la pulsione che non ha confini, che travalica l’etica e le buone maniere. Lei cerca la rottura degli schemi, lui la vuole con sé nella dannazione. Eppure non c’è amore in questo tipo di relazione, ma prevaricazione, perché alla fine Dracula è un non morto (come dico sempre “puzza di terra e vermi”), non ha anima, ha solo la falsificazione di quello che era un tempo e in ogni modo ha venduto tutto se stesso per potere. Van Helsing è il suo antagonista, ma è anche l’ordine costituito, colui che in un altro contesto sarebbe stato un paladino, eppure è un eroe fallace, stanco, distrutto dagli anni e da una lotta disumana. Harker…Harker…Harker…se non ci fosse lui bisognerebbe inventarlo! Insomma è giovane, sprovveduto, prima ipotetica vittima del Conte, braccio armato di chi non ha più l’età per la battaglia, ma mi è sempre parso un po’ un pirlotto. Perché leggere “Dracula”? Perché questo è un non morto che fa paura, che affascina, che tenta, che seduce, che distrugge e che soprattutto non sbriluccina e non va al college.

20181025_152254_wm[1]2. “La storia di Lisey” di S. King.

Un libro del Re non si può non mettere, anche se io non sono una sua grande fan. Questo è stato il primo libro che lessi (vinto casualmente a una riffa di natale con amici) e devo essere sincera me ne innamorai. Sono passati più di 10 anni da quando l’ho letto (o forse qualcosina di più se ci penso, ma vabbè) e quello che mi è rimasto è il senso di angoscia che pervade la protagonista quando scopre che il mondo narrato dal marito defunto non era frutto della sua fantasia, ma di qualcosa che viveva. Qualcosa di vivo. Qualcosa di solido. Ma che non apparteneva al nostro mondo reale. Il senso che mi è rimasto dentro è di totale impotenza di fronte a forze paranormali, ma di una forza interzione fortissima che doveva in un qualche modo fare in modo di non soccombere. Per quanto nel tempo abbia letto altri libri di King, ritrovando questo tema di confine e sconfinamento dei mondi e le vari paranoie da scrittore, nessun libro mi ha dato come questo la possibilità di immedesimarmi in Lisey. A distanza di anni ho quasi paura a rileggerlo.

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Qui il link alla casa editrice NPE

3. Poe e Dino Battaglia

Per il terzo consiglio ho scelto, diversamente dagli altri, di scegliere la versione a fumetti dei racconti di Edgar Allan Poe, disegnati da Dino Battaglia, edito da NPE. A mio sindacabilissimo parere Dino Battaglia è stato uno dei pochi disegnatori che sia riuscito a rendere le atmosfere oscure, disperate e secche che Poe ha narrato nei suoi racconti: 8 racconti per 8 fumetti da “Ligeia” a “La Maschera della Morte Rossa”, passando per “Hop-Frog”. In tutti la desolazione umana, il tentativo di sfuggire all’inevitabile morte, l’arroganza di voler andare oltre. In Poe c’è una sorta di condanna morale o etica, senza mai voler ribadire concetti religiosi: sembra quasi che si rifaccia all’ hubris greca dove l’uomo alla fine non può sfuggire alla condanna delle proprie azioni o di quella della sua genia.

20181027_155437_wm[1]4. “Anno Dracula” di Kim Newman

Qui passiamo a un contemporaneo che con una trilogia dal sapore distopico fa immaginare un’Inghilterra in mano ai vampiri grazie al matrimonio del Conte Dracula con la Regina Vittoria. Gli uomini non sono altro che mucche di sangue utili alla nuova classe dominante come cibo. Eppure la “quiete” dell’impero e della sua capitale viene sconvolta da una serie di efferati omicidi inspiegabili. Toccherà a un gruppo mal assortito di umani e vampiri (rinnegati?) di cercare di riportare la situazione a un qualcosa di accettabile. Il libro mantiere tutta l’atmosfera della Londra oscura di fine ottocento, con in più quella nebbiolina che fa tanto Transilvania, tenendo l’attenzione del lettore su una storia che potrebbe rischiare di diventare trash e invece non lo fa. [A mio parere il seguito “Il Barone Sanguinario” non è all’altezza di questo primo capitolo. Non ho letto il terzo libro “Dracula cha cha cha”].

20181029_144028_wm[1]5. Racconti di fantasmi

Qui mi è stato difficile scegliere un solo autore, perché qui è l’ambito dove, secondo me, gli autori si sono maggiormente sbizzarriti da tempi immemori. Ho scelto di tirar fuori la mia vecchie serie dei “Libri a mille lire” della Newton&Compton, la quale molto saggiamente ha diviso per aree geografiche alcuni autori. Ogni nazionalità ha affrontato l’argomento con spirito diverso e sorprende che alcuni padri del Verismo italiano si siano cimentati in un genere così lontano da loro. Dobbiamo pensare che quasi tutti questi autori (Hoffmann è settecentesco, ma gli altri vivono attorno alla metà e fine ottocento, inizi novecento) hanno in qualche modo avuto a che fare con lo spiritismo e con la rinascita di certi movimenti romantici. Nella foto non ho messo “Giro di vite” di Henry James, il quale a mio parere è il miglior racconto di genere proprio per continuare a lasciare interdetto il lettore sui piani di esistenza dei diversi personaggi.

20181030_153859_wm[1]6. “I miti di Cthulhu” di H.P.Lovecraft

Un altro dei più conosciuti scrittori di horror, anche se dubito fortemente che tutti quelli che ne parlano abbiano letto tutta la sua opera, ma lasciamo ai posteri l’ardua sentenza. Lovecraft viene considerato il padre dell’orrore cosmico, perché egli crea una vera mitologia di divinità ultraterrene il cui unico scopo in questa terra è…distruggerci e cibarsi di noi. I miti di Cthulhu sono forse il nucleo più conosciuto attorno al quale gira l’opera, ma Lovecraft non era solo questo, visto che sono tantissimi i racconti anche di ispirazione fantascientifica a cui si dedicò. La sua peculiarità è stat proprio quella di creare situazioni e personaggi totalmente disarmati di fronte a quello che stanno per affrontare; ogni atto di consapevolezza o di conoscenza porta alla follia; ogni tentativo di sconfiggere non tanto le divinità, ma i loro adepti, un avvicinarsi inderogabile alla morte, la quale in fin dei conti è il più pacifico dei porti desiderabili. Leggere i suoi racconti porta a non volersi mai avvicinare a un porto, con la nebbia, quando le luci calano, in solitaria…ma nemmeno andare in montagna, di notte, da soli, verso i tumuli…le case di famiglia non sono piacevoli…

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Qui il link alla Providence Press
7. “Steve Harrison” di R. E. Howard

 

Anche gli indagatori dell’incubo sono un classico di genere e di solito sono quelli che più vorremmo avere al nostro fianco. Cosa differenzia un indagatore dell’incubo da un protagonista che deve affrontare il mostro? Che il primo, volente o nolente, la lotta se la va a cercare. Avete presente “Dylan Dog”? Ecco, perfetto, il suo è un istintivo e pervicare senso del pericolo, ovvero di volersi andare a ficcare in situazioni che nessun altro vorrebbe affontare. Poi se andiamo a rileggere i primi albi le motivazioni ci sono tutte. Il libro che ho scelto è l’unico che, ammetto, non ho completato da poter dare un giudizio preciso. Steve Harrison è un altro personaggio creato dalla penna instancabile di Robert Howard (il padre di Conan per intenderci) e, come altri nati dalla stessa mano, ha un approccio virile, fisico con i suoi avversari.

Piccola nota a fine post per ringraziare le case editrici NPE e Providence Press per la costanza nel volere proporre o riproporre autori che hanno fatto grande il genere horror, inseguendo la qualità, creando opere curate e amate (il libro di Howard è pieno di note a fine racconto. Dico solo questo. E le introduzioni dei fumetti della Npe sono interessantissime).

Ringrazio anche la Newton & Compton per la gloriosa serie dei “libri a mille lire” che hanno allietato tutti gli anni delle mie superiori, stampando autori famosi a un prezzo ridicolo (mancava poco che te li “spacciassero” agli angoli delle strade!), per aver pubblicato volumoni e mammuth con tutti i romanzi gotici e non solo (ne ho almeno tre di quelli a cui l’altro ieri si è aggiunto quello dedicato a Poe) e anche per i “libri a duemila lire” dove erano pubblicati i romanzi di genere. Grazie a Pilo e Fusco per le prefazioni.

Dai 7 consigli della settimana che per antonomasia è considerata la più paurosa, ho lasciato fuori mummie, licantropi e zombie. Della prima ricordo vagamente un racconto di sir Conan Doyle, mentre dei secondi ho sempre trovato racconti validi; sugli zombi cala un pietoso silenzio. Se avete libri da consigliarmi su questi e altri mostri, segnalatemeli che per la creepy week del 2019 devo mettermi avanti con i lavori!

“Mari stregati” di Tim Powers

Da #unestatedapirati a #unavitadapirati è il motto che mi sono presa questa estate e che ho bellamente intenzione di portarmelo avanti finché non mi sarò stufata dei pirati, sempre che sia possibile la cosa.

Questo libro l’ho scoperto giroclando per il web e non ricordo più in quale blog l’ho visto consigliato (me ne scuso tantissimo, avrei dovuto segnarmelo. Sorry) e mi aveva colpito perché diceva, più o meno testualmente, che da questo libro era stato tratto il videogioco di “Monkey Island“. Per chi non lo conoscesse…che brutta infanzia che avete avuto! Mi spiace, davvero tanto, ma credetemi che potete recuperare anche se, non so, forse è come mettere una toppa piccola sui pantaloni rotti da buttare. Comunque sia il tratto principale del gioco era che vi erano i pirati, i non morti pirati, una storia d’amore, assurdità varie, una scimmia a tre teste, i cannibali vegetariani e il loro dio vulcano intollerante al lattosio, Le Chuck, Guybrush Threepwood, Eilane Governatrice, i pirati, il voodoo, Marley. E molto altro ancora. Ah! sì! El Pollo Diablo!

Che ci abbiate giocato o meno vi sarete resi conto che non era il gioco più serio del mondo e che non era nemmeno il più storico e preciso sulla pirateria che sia mai stato fatto, ma era surreale, divertente e leggero in salsa piratesca. Quindi avendo letto quello mi aspettavo un libro sul pezzo, oltre al fatto che veniva citata anche la serie dei “Pirati dei Caraibi” che tanto seria non è manco quella.

Il libro invece lo è. A suo modo. La storia si basa sul figlio di un burattinaio, coinvolto suo malgrado con pirati e voodoo, rinunciando alla sua vita per scoprire forzatamente che il mare è quello che sapeva fare e che il voodoo era quello che poteva comprendere. Il libro parla di una storia d’amore di base, ma non lo è, perché alla fine ogni buon eroe ha la sua bella di cui si innamora senza un senso (e a noi forse quel tipo di storie piacciono, mentre ci sono sbudellamenti vari a destra e a manca); parla anche di amori malati e frutto del proprio egoismo. Soprattutto parla di magia nera e di scontri sul mare, di abbordaggi e uccisioni, ma senza splatter; di cannoni e fontana della giovinezza; di ammutinamenti non riusciti e di Barbanera con le miccie nella barba appunto; parla della Marina e del Perdono, anche se un pirata fa un po’ fatica a stare nelle strette scarpe di un perdonato. E’ questo il bello di questo libro: è storico con la citazione di personaggi che sono entrati nella mitologia della pirateria, ma con quell’aspetto della magia rende tutto più denso, dando voce a quello che noi abbiamo sempre visto dei pirati, cioè il loro alone misterico, sovrannaturale e fuori dal comune.

Ci sono i loa e la Giamaica, Baron Samedì e i bocor, le navi fantasma, la magia femminile e quella maschile, le piante senzienti e le bussole che possono essere ottimi talismani.

Il libro è ben scritto, con un ottima dose di descrizione di momenti di guerra (anche con tecnicismi che io ho faticato a comprendere nella loro dinamica) e dialoghi; i personaggi sono ben descritti e se su tutti troneggia il non morto Barbanera, Jash Shandy è il nostro eroe in cui non possiamo non identificarci con quel misto di ingenuità e comprensione e anche una sana dose di fortuna.

Perché leggerlo? Perché è davvero un libro di pirati, quei pirati che tutti noi cerchiamo fin da quando siamo piccoli e ci fanno avvicinare alle storie di mare, dove sappiamo benissimo (e lo sapevano i nostri avi quindi chi siamo noi per andar contro di loro) vivono i peggiori mostri marini e se non ci sono è perché potenti stregoni li tengono lontani e addormentati. Andar per mare con questo libro è davvero un piacere e non solo, visto che la parte storica o tecnica è talmente resa bene (o venduta bene? Chi lo sa, io non andare per mare) da far rendere tutto credibile.

Voto: 7 e mezzo. Perché la vorrete anche voi una testa mozza e rimpicciolita da tenere in una scatola. Fidatevi.

Scheda tecnica

Titolo originale: “On Stranger Tides”

Anno di pubblicazione: 1988

Traduttore: Graziana Cazzola

casa editrice: Fanucci Editore

finito di stampare nell’aprile 2011 presso Puntoweb – via Variante di Cancelleria snc – Ariccia (RM). Printend in Italy

Progetto Grafico: Grafica Effe

Copertina: foto di Jhonny Deep, “Pirati dei Caraibi”,©Photo12/Olycom *

Pagine 391

Prezzo €16,00

 

*Piccola postilla sulla copertina: detesto i libri con la copertina tratta dal film che è stato tratto o ispirato. Lo detesto fortemente. Primo perché così lega idealmente libri e film che magari non hanno niente a che fare fra loro; secondo perché tendenzialmente non sono belle, anche se ben fatte, perché sempre troppo limitate per rendere la complessità della trama; terzo perché fuorviano il lettore (qui quante ragazzine saranno impazzite davanti al faccio ammiccante di Deep per poi trovarsi un libro dove non c’è Jack Sparrow?); quarto perché la sana tradizione degli illustratori di copertina deve essere incentivata anche se costosa per gli editori perché se no si perde la mano e l’estro di chissà quanti illustratori.