“Sinister” di Scott Derrickson

Metti una sera di fine ottobre, in montagna a casa di amici, chiacchierando e mangiando e bevendo; metti che fuori fa freddo e dentro il camino scalda e un cane coccoloso passa da uno all’altro invitato; metti che è la sera di Halloween e un po’ di paura bisogna averla che tu la racconti o la guardi. Metti che…che è stato il mio fine settimana dei morti e sembra l’inizio di un film horror! Invece i film ce li siamo guardati sballando orari e fregandocene di tante cose se non star bene. Questo è uno dei due e perfetto per la notte piena, cercando di stimolare le peggio paure dell’inconscio. E ci è anche riuscito con me, anche se devo ammetterlo certe scene crude ma non violente mi hanno infastidito più che certi fatti di cronaca nera, costringendomi a guardare a fatica.

http://www.mymovies.it/film/2012/sinister/

L’horror è un genere che amo e odio allo stesso tempo, proprio perché avendo una buona immaginazione se girato bene esso suscita i miei incubi vari ed eventuali. Purtroppo da tantissimo tempo la filmografia di genere ha fatto uscire le peggio cose, magari ricalcando successi del passato, ma mostrando più zizze e sangue che trame vere e proprie; in più ci si è completamente dimenticati che cosa fa veramente paura è il nostro cervello e la sua capacità di sublimare il non detto e di tirar fuori cose che nella storia sono lasciate o buttate lì proprio per quel motivo. Un buon horror paradossalmente parte dal lettore e poi torna sullo schermo…

Partiamo con ordine però.

Regia: 8. Era tantissimo tempo che non avevo strizza guardando un horror e qui l’ho avuta (anche se purtroppo si è persa sul finale). S.D dirige con maestria 3 attori fondamentali: un Ethan Hawke smagrito e depresso, ma senza essere troppo monomaniaco; una musica attrice comprimaria; una storia che si dipana su più fronti. A tutto questo aggiunge una fotografia magistrale e la scelta di pochi attori a dividere la scena. Tutto il film si svolge come una perfetta opera concertistica, trasformando un “banale” thriller in un vero horror psicologico e paranormale.

Sceneggiatura: 6 E questo è un voto basso perché in realtà il film si basa su un’ottima scrittura, priva di buchi narrativi e di bazze pseudo teologiche: solida, logica, consequenziale che unisce due generi in una sola scena. Eppure…eppure…qualcosa non mi ha convinta. Non mi ha convinta la scelta totalmente paranormale…ATTENZIONE SPOILER!!!! che giustifica la scomparsa di un bambino in ogni scena del crimine: mr. boogie man. In Italia il concetto dell’uomo nero è presente, ma nella cinematografia ben poco usato, mentre in quella anglosassone e americana soprattutto invece sì: da l’idea che dall’altra parte dell’oceano siano totalmente terrorizzati dall’idea di un qualcuno che possa rapire i bambini per scopi malvagi. Un’ossessione che è qui sostenuta ancora una volta, ma che purtroppo perde consistenza verso il finale. Scoprire chi compie gli omicidi di famiglie, in un arco di tempo abbastanza lungo, e il perché scompaiano alcuni bambini è il nodo del film, ma avendo caratterizzato tutti il film in un’atmosfera realistica e persistente arrivare a una banale scena di possessione e rapimento sovrannaturale svilisce tutto il lavoro precedente. Avendo lavorato tantissimo sul protagonista, caratterizzandolo bene nella sua mania di rivalsa da scrittore in decadimento, vedere con quale velocità si liquida tutto mi ha infastidito. Sì, io avrei cambiato il rapporto di fra l’Uomo Nero e le sue vittime, dando più consistenza fisica e temporale, creando più collegamenti visibili con i segni, i posti e le persone, mentre invece questa parte è (tranne per un solo e non ben spiegato particolare) un po’ buttato su.

Sceneggiatura e costumi: 7. C’è poco da dire o da fare quando si ambienta un film nella contemporaneità: o è realistico o no. Questo lo è e va bene così.

Fotografia: 8. E’ strano dirlo, ma questa volta non si può prescindere dalla fotografia per essere guidati nei vari piani della storia: dai filmini super 8, alla discesa nell’ombra del protagonista, dal proiettore puntato negli occhi, alle pareti colorate dalla piccola di casa. Tutto ben dosato, scivola da un piano all’altro sottolineando e un po’ preparando lo spettatore a quello che dovrà vedere.

Musica:8. Finalmente un film horror che riprendendo i vecchi stilemi del genere usa la musica e non la subisce. Essa sottolinea tutto, enfatizza tutto e terrorizza come deve fare. Ricorda un po’ l’immortale sequenza dei Goblins in “Profondo Rosso”. Quando si sentono certe note nel film, si capisce subito dove si vuol andare a parare e…paura!

Effetti speciali: 7-  Pochi, giusti e che ti fanno saltare dalla sedia solo a cose fatte, ma senza l’effetto splatter di molti film contemporanei. Non ho molto apprezzato lo svelamento del cattivone, perché ricorda un po’ “Scream” in salsa deformata. Mentre il bambino con terrori notturni dovrebbe essere rinchiuso da qualche parte nel film…

Cast: 6 Tutto gira attorno al protagonista e sinceramente il resto del cast poteva anche stare a casa (come l’inutile personaggio del vice sceriffo…). Questo è un peccato perché alla fine non è che siano molto valutabili gli altri attori, oscurati da E.H magro, con la solita faccia da giovane dietro a quella di adulto, bravo senza strafare, che gioca sulla mimica e sul corpo più che sulle parole. Bravo, non la sua miglior performance, ma bravo.

Voto: 6-7 Malgrado tutti i voti tecnici siano alti e pur apprezzando la bravura del regista di girare questo film, la scelta della sceneggiatura mi ha portato a vedere questo film come niente di così nuovo ed eccezionale, ma anzi mi rimane la sensazione che abbiano sprecato una buona occasione.

“Les Revenants”: state attenti ai vostri desideri

C’è un motivo se nell’antichità la paura dei morti che ritornano è così diffusa e sparsa in ogni dove, al di là di geografia e credo: è la paura del sovvertimento dell’ordine costituito dalla natura, ma anche della legge (se pensiamo a quanti testamenti salterebbero in aria) dell’uomo. Il titolo della serie televisiva fa riferimento al termine per me più corretto e preciso che la linguistica sia riuscito a coniare: les revenants, coloro che ritornano. Non si parla di resurrezione, né di fantasmi veri e propri (anche se a volte il termine viene usato anche per loro), né dello zombie che ricordiamo dalla cinematografia: non sono morti che tornano vivi e ricominciano la vita, ma sono morti che assomigliando ai vivi non vivono come i vivi. Che gioco di parole!

Comunque sia da questo concetto parte questa serie francese che, dopo averla persa più volte su sky, sono riuscita a registrarla e potermela vedere fra le feste natalizie ed ora. Sky prevedeva la maratona della prima serie, ma sinceramente non è per me, comunque è stato utile, perché così non ho aspettato per vedere tutta la prima serie.

http://it.wikipedia.org/wiki/Les_Revenants

Di cosa tratta? Di un tranquillo paesini delle montagne francesi (non è specificato, ma alla fine non è nemmeno importante), della sua vita e dei suoi lutti. E fin qui tutto tragicamente normale, se non fosse che un giorno i morti, alcuni almeno, tornano a bussare la porta di casa, a non capire che è passato del tempo, a mettere nei casini tutti. Non si capisce con quale criterio alcuni siano tornati ed altri no; nemmeno si capisce se è stata la morte traumatica ad essere il filo di congiunzione; se c’è qualcosa dietro; se vogliono qualcosa o qualcuno; se vogliono semplicemente continuare a vivere fregandosene del fatto che nel mezzo la vita vera è andata avanti.

In realtà la serie è ben dosata e tutti i dubbi si dipanano lungo le 8 puntate (ognuna dedicata a un ritornato o un particolare personaggio), cercando la soluzione, portando lo spettatore a dipanare la matassa. Tutto è giocato come un puzzle, con trabocchetti e deviazioni sottili dalla trama principale che servono a distrarre lo spettatore, per poi lasciarlo a bocca aperta a momento debito. E come succede tutto questo? Secondo me grazie a un buon team di sceneggiatori. Più lo guardavo e più, a fine visione della puntata, mi chiedevo come avrebbero potuto renderlo in altri stati: gli americani hanno già “The walking dead” e ne avrebbero fatto una copia; noi italiani non sappiamo nemmeno da che parte prendere una trama del genere (non si parla di politica, di famiglie sfigate, di amori e amorazzi, di destra e sinistra, di isterismi o di bamboccioni…insomma qui non ci potevi mettere in mezzo i soliti serial o film all’italiana che 9 volte su 10 sono tutti uguali da decenni); gli inglesi forse lo avrebbero reso più muscolare. E poi non so. I francesi invece hanno sfoderato la loro arma migliore: la parola. In questo caso scritta, più che parlata, anche se i dialoghi sono curatissimi e non bisogna perdersi nemmeno una battuta per svelare il mistero. La cura dei dettagli, il gioco delle parti, l’attenzione alla diversificazione dei personaggi sono aspetti che rendono questo telefilm sopra la media di quelli trasmessi ultimamente.

Questo telefilm è la dimostrazione che per fare un buon horror o mistero bisogna saper lavorare in team, stare attenti a tutto, avere gente che sa fare il suo mestiere senza strafare. Infatti altra cosa molto bella è che l’ambientazione contemporanea “normale” esclude a priori tutto il misticismo alla new age, mentre lascia di contorno anche la religione ufficiale. Il paese è uno di quei milioni di paesini di montagna che potresti trovare adesso dove c’è la chiesa e tutto quello che ci circonda, ma anche la polizia che conosce tutti, le famiglie che si conoscono come parenti e il vero centro economico che è la diga. In questa serie non c’è altro, anche perché la notizia non è qualcosa da sbandierare ai quattro venti, ma da tenere nascosta per paura. Insomma questo telefilm, nel suo paranormale, è assolutamente realistico anche nelle reazioni umane e nelle paure. L’immedesimazione in alcune situazioni, il tentativo di entrare in empatia sono proprio frutto di questa scelta di profilo verosimile e di studio psicologico all’evento.

Le varie situazioni e i vari protagonisti sono ben diversificati, cercando di permettere una maggior differenziazione di situazioni all’immedesimazione dello spettatore. C’è la ragazzina che torna a casa dai genitori e sorella gemella; il bambino apparso dal nulla; la moglie morta giovane che ritorna dall’oramai anziano marito; il serial killer impenitente; l’artista morto alla vigilia del matrimonio. E altro. Vi ho già detto troppo.

La fotografia fa da supporto, da contro altare: sottolinea coi suoi giochi di colore, preferendo a volte le scale di grigi a volte il colore pulito, le varie sensazioni, i personaggi, gli eventi. Anche in questo caso il lavoro di team risulta palese e ben coordinato.

La musica è essenziale, ma fondamentale, perché con lievi cambi di tono o di velocità riesce a sottolineare nell’evoluzione della serie il cambiamento di situazioni e il lento, ma inesorabile, declino verso lo scontro.

Una seria di pochi effetti speciali, ma di sostanza, che io consiglio a tutti coloro che vogliono il mistero allo splatter, l’indagine alle baracconate. Qui non ci sono libri magici, cerchi esoterici ed evocazioni varie, ma solo il vivo e il ritornato l’uno contro l’altro armato (di non si sa cosa).

Viene detto che la seconda serie si sta già girando ed io incrocio le dita non tanto perché sia vero, ma perché siano in grado di mantenere questo elevato standard e non decada in un fumoso racconto alla Lost (ve le ricordate le serie di mezzo con tanta fuffa in mezzo a sfrantumare?) per spiegare “chi ha fatto cosa e perché” lasciato in sospeso in questa prima serie. Questo il sito per essere aggiornati.

“Angel Heart” di William Hjortsberg

Conosco questo libro per essere il riferimento dell’omonimo film che vidi anni fa in compagnia. Il film è stato uno di quelli che più ricordo per le sensazioni claustrofobiche legate al voodoo e tutto quello che vi gira attorno. Quindi quando La libreria pericolante mi ha suggerito la lettura ho accennato, anche se sinceramente non era una lettura troppo adatta per il periodo natalizio. Vabbè…ho delle amicizie strampalate e mi va bene così. Coinvolta anche ClupIppogrifo si è partiti e con sprint (non serve che vi dica che io sono arrivata ultima perché come mio solito sono distratta da mille cose e leggo recuperando all’ultimo).

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Sin da subito ci si rende conto che film e libro, per quanto vicini, sono due opere totalmente separate sia per resa che per ambientazione. Qui siamo a New York, periodo anni ’60 circa, ma con tantissimi riferimenti alla seconda Guerra Mondiale e al ritorno dei soldati; nel film si era a New Orleans ben più verso gli anni ’80. E’ impensabile non vedere nella mente i protagonisti della vicenda come M. Rourke, De Niro e Lisa Bonet, troppo pregnante l’immaginario del film, ma alla fine tocca dirlo va bene così: i tre attori riesco in modo coerente a dare vita all’investigatore incastrato nella vicenda, al committente e alla sacerdotessa voodoo.

Il continuo e inesorabile scontro fra i protagonisti, mentre alle loro spalle vengono condannati alla morte tutti quelli che li aiutano o li incontrano, porta all’inevitabile conclusione del duello risolutore. Anche qui, come per il libro “Il presagio”, il duello è impari: l’avversario ha molta più esperienza, tempo e scaltrezza per farsi infinocchiare da un semplice mortale. E come il sopracitato libro anche qui manca la controparte positiva, quel Dio che da forza e guarisce (quante le storielle medievali in cui attraverso la sapienza di un uomo di chiesa timorato di Dio si riesce a risolvere tutto!); qui c’è davvero la dannazione, la condanna eterna senza speranza, la solitudine estrema, l’arroganza umana. Anche la sacerdotessa non è altro che una mera figurina, sensuale e sapiente, ma del tutto priva di armi e di forza per contrastare gli eventi (e si vede la fine). Quindi non è un libro sul paranormale oppure un giallo come tutti gli altri, ma è davvero un vortice verso lo svelamento della dannazione di un uomo che alla fine scrupoli e moralità non sanno nemmeno cosa sono.

Scritto benissimo, con la scelta di una scrittura essenziale, pulita, chiara, senza arzigogoli inutili e pesanti; poche pagine che fanno assomigliare questo a un racconto lungo piuttosto che a un vero romanzo; attenzione ai particolari per rendere viva la città e credibili gli eventi.

Malgrado il fatto che mi sia piaciuta la lettura, credo che sarà l’ultimo del genere per molto tempo e me ne tornerò a cose molto più abbordabili e meno suscettibili per la mia immaginazione.

Voto: 8

Buon Compleanno Stephen King!

http://www.stephenking.com/index.html

Viene chiamato il Re, non solo per omaggio al suo cognome, ma per il suo valore letterario.

Qualcuno potrebbe dire a ragione, altri a torto. A me sinceramente non interessa, perché per ora King è ancora nel limbo. O meglio ci sono alcuni suoi libri che ho veramente divorato, come “La canzone di Lindsey”, altri che ho trovato di una noia mortale,  tipo “22/11/’63”. Non riesco a riconoscergli davvero l’appellativo di Re e so che qualcuno leggendo potrebbe avere un piccolo svenimento (vero Ross? 😉 ), per quando è assolutamente corretto riconoscergli la prolificità e l’ampiezza della sua fantasia, la quale ha raggiunto picchi di vera fortuna e fama ben guadagnata. Dalla sua mente sono nati personaggi simbolo o tratti film che hanno lasciato il segno: “Shining” e il suo “il mattino ha l’oro in bocca“, oppure Misery e la paura che tutti i fan di lettori possano essere come lei, oppure i pagliacci e It e tanto altro ancora.

E’ fuorviante ritenerlo, come sento nelle recensioni superficiali, uno scrittore d’horror. La sterminata mole di opere ci fa capire che egli punti più sul “paranormale” in senso lato che il classico horror, in più leggendolo trovo che egli cerchi anche di scoprire l’animo umano, sviscerarlo e forse comprenderlo. Quello che mi ha sempre sorpreso, a volte in positivo e a volte in negativo, è proprio questo sotto fondo sociale nei suoi libri: ci sono le interazioni amorose, l’accettazione della morte, la religione, la sociologia, il bene oltre il male, la sconfitta dell’uomo e il suo tentativo di rivalsa. King prende allora un’altra immagine, dietro allo squartatore del velo della normalità, appare quella del curioso di antropologia, di appassionato di sociologia, di guardone delle cose umane.  E questo aspetto pare molto interessante, ma bisogna sempre capire quanto lo ha calibrato nei vari libri perché a volte prende il sopravvento e il libro che ci ritrova fra le mani può risultare tutt’altro che un libro paranormale, come la quarta di copertina cerca sempre di dirci.

Un vero difetto che trovo insopportabile è che è verboso, parolaio, si dilunga a dire le stesse cose per pagine e pagine. Quando fa così mi viene sempre la brutta idea che sia pagato a parole più che a libro nella sua interezza. Anche nell’ultimo che ho letto “L’ombra dello scorpione” io avrei tagliato almeno un duecento pagine, come mi ha fatto venire la noia estrema “Il miglio verde” che non è stato rieditato come libro ma mantenuto come serie a puntate (okkei qui possiamo dare la colpa all’editore e non allo scrittore, ma se davvero voleva seguire le orme di Dickens bisogna ricordargli che l’autore inglese non ripeteva tutta l’ultima pagine dell’ultimo capitolo uscito. Lettura collettiva docet!).

Alla fine cosa posso dire di King? Che devo ancora capirlo, che devo ancora capire se mi piace oppure no e che devo leggere ancora un sacco di suoi libri cult per dare un parere chiaro sulla bilancia della letteratura. Posso anche dire che mi aspetto di poter leggere i veri libri che spaventano e che non ti fanno dormire la notte (It è lì che mi guarda dalla libreria, ma so che non è ancora tempo).

proprio poche immagini di qualche famoso film tratti dalle sue opere
proprio poche immagini di qualche famoso film tratti dalle sue opere

Buon Compleanno S. King!

“1921- Il mistero di Rookford” di Nick Murphy

Continua la serie di film de paura e stavolta diciamo che ci siamo andati vicini.

http://www.mymovies.it/film/2011/theawakening/

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Questa non è una storia di paura, ma una classica storia di fantasmi, ambientata nel dopo guerra della prima Guerra Mondiale. L’ambientazione  è curata per chi un po’ ne sa che nel periodo lo studio dei fantasmi veniva per la prima volta affrontato con rigore scientifico, anche se le due fazioni (scettici e credenti) erano ben divise. Il periodo è in fervore e la nostra investigatrice ne ricopre a pieno il ruolo con un personaggio femminile forte, scettico, intellettuale, sensuale sotto la veste rigorosa e un po’ mascolina. Il mix è sinceramente esplosivo. Il suo compito è indagare su un fantasma in un collegio maschile. Entro il primo tempo tutto sembra risolversi, ma verso la metà la protagonista non solo perde i freni inibitori (forse già labili vista la modernità della stessa) e poi anche la sanità mentale e tutti i giochi si riaprono.

Forse qualcuno vedendolo avrà già intuito assonanze, similitudini (“The Others” per esempio, ma forse anche un po’ “Il sesto senso”) e avrà cercato di leggere o rileggere questo film sotto quella visione. E non a torto ha fatto quello, ma se il film non brilla per originalità, di certo ha un’ottima tensione senza giocare sui colpi di scena, ma mantenendo costante la tensione e l’attenzione dello spettatore.

La recitazione è ben dosata e malgrado qualche sgranata di occhi eccessiva di Rebecca Hall, il resto è ottimo. Come i costumi e le scenografie, mentre la musica è più o meno assente e ciò è solo un bene visto che sono i silenzi in questo genere di film a fare il grosso.

Alla fine anche se cercavo un film dell’horror ho trovato un classico sui fantasmi (che sarebbe stato ottimo anche in romanzo. Chissà, magari esiste e io devo cercarlo…adesso mi informo) che mi ha tenuto incollata alla poltrona.

Regia: Nick Murphy 7

Sceneggiatura: S. Volk & N. Murphy 7/8

Scenografia: 7

Fotografia: E. Gran 8

Musica: D. Pemberton 7

Costumi: C. Harris 7 1/2 (i vestiti di lei sono stupendi!)

Voto totale: 6/7