Il genere (e non solo) di chi scrive libri

IMG_20200618_110430_311[1]
Libri senza copertina = leggere al buio,
L’argomento che voglio affrontare ora è spinoso, ma nello stesso tempo vorrei anche toglierne l’aurea di stigma o di dogma: leggiamo libri scritti da autori di un certo genere e colore della pelle per abitudine o c’è altro?

Non ne farò un’indagine sociologica, perché non ne ho le competenze, ma come al solito partirò dalla mia esperienza privata per farmi e farvi dubbi e vedere come e se risolverli. Sempre che certe cose siano risolvibili.

Io mi interesso alle persone, indipendentemente da sesso, colore della pelle, religione o mestiere. Certo, sono nata in un certo momento della storia, in dato punto geografico e mediamente le mie conoscenze umane sono più o meno simili per certi aspetti. Non ho girato molto il mondo, se non come turista, non posso vantarmi di avere una vita multiculturale e trendy. Sì, forse sono banale per certi versi, ma, per altro, certe barriere che dovrebbero contraddistinguermi in base alle etichette pregiudizievoli che siamo abituati a mettere a tutti, alla fine non mi confinano nel mio mondo. Sono curiosa e mi interessano le persone interessanti, capaci di esprimersi in un certo modo e di esprimere le proprie opinioni con cognizione di causa. Mi piace imparare dagli altri, perché quello che non so mi incuriosisce (anche la fisica, ma quella faccio a meno di ascoltarla, perché per me purtroppo è simile alla magia. Il mondo è pieno di magia fisica inspiegabile). Proprio perché mi piacciono le persone in quanto tali e non perché uomini o donne, tendo a soprassedere a molte scelte “di campo” che oramai si pretendono da chi sta sui social: mi comporto come vorrei che fosse il mondo, rispettano chi si guadagna il mio rispetto, odio le lagne e sin da bambina i miei mi chiamavano “l’avvocato delle cause perse” perché se credo in una cosa mi espongo.

Questa lunga premessa è per dire che in tutta la mia vita non mi sono mai interessata seriamente di che fosse il sesso e il colore della pelle degli scrittori che leggevo. Sì, non ho vissuto in una campana di vetro, sono conscia che Asimov fosse uomo bianco e Le Guin donna bianca, ma boh nel mio cervello sono nomi e poco altro. Conoscere le loro storie esula da quello che hanno scritto loro e letto io. Eppure qualcosa non quadra.

Non ci sarebbe problema nel scegliere un autore o un’autrice in base al genere narrativo in cui si identificano: sceglierò sempre quello amato piuttosto che uno sconosciuto, fantascienza/fantasy/giallo batte narrativa sempre e comunque per me.

Quindi il primo discrimine per me rimane il genere narrativo.

Sono rimasta traumatizzata dalle letture femminili “impostemi” da bambina, che piuttosto che leggere ancora cose drammatiche alla “Principessa Sara” mi sarei imbarcata davvero su una baleniera (dove invece mi sono rifugiata solo mentalmente). Quel genere di racconto non mi ha mai preso. Molto meglio essere un tigrotto che una lady di una Londra decadente e piena di governanti e insegnanti con gravi problemi di socialità. Quei tempi, più o meno quando Asdrubale passava con gli elefanti gli Appennini, furono non troppo semplici per una ragazzina che non voleva letteratura femminile (intesa come genere svenevole e pieno di storie di sentimenti e basta, niente arrembaggi, avventure, scalate sulle montagne, investigazioni): si leggevano giocoforza autori uomini come Salgari, per dirne uno. Perché questo passava l’editoria di allora.

La domanda che deve sorgere alla mente è: mancavano scrittrici d’avventura o mancavano gli editori per quelle scrittrici?

Mi sono appassionata ai gialli fra le elementari e le medie e sinceramente non c’è mai stata differenza nel mio cuore fra Agatha Christie e Conan Doyle (se non fosse per Holmes, mio primo sociopatico amore letterario): la grandezza di entrambi annullava qualsiasi ipotetica differenza di genere.

Vabbè non è tempo per una mia biografia, anche perché non ne vale la pena, però quello che mi fa riflettere è che nel mio personale immaginario letterario ci sono più autori maschi che femmine, ma forse per pura casualità. O pigrizia? Se un tempo me ne fregavo, ora inizio a chiedermelo.

Uscendo un po’ dalla mia confort zone e arrivando nel seminato della sociologia e storia, si può sinceramente affermare che per lunghissimo tempo le condizioni economiche, sociali, di ceto e di istruzioni nell’occidente (perché questo è il mio “piccolo” mondo) erano appannaggio dell’uomo bianco medio borghese se non ricco, o comunque se doveva pagarsi da vivere scrivendo doveva impegnarsi molto e con vari drammi personali (non arriviamo al caso di Salgari, ma “Sandrone” Dumas era sempre in cerca di nuovi editori e “Carletto” Dickens aveva troppi figli da sfamare). Questo evidentemente escludeva dal mondo della letteratura una bella fetta di popolazione. Possiamo recriminare fino all’infinito, ma questa è la storia, baby. Il divario socio economico si può ipoteticamente pensare che si sia più requilibrato dopo la seconda guerra mondiale, aprendo le porte a tantissimi altrui autori non solo bianchi e non solo uomini.

Eppure la parte pregiudiziale ebbe sempre in qualche modo il sopravvento. Inutile nascondercelo, quante donne hanno dovuto scrivere sotto pseudonimi maschili? Troppe.

Questa è la parte che considero pigrizia, perché pur non avendo nulla in contrario a storie scritte da chiunque purché la trama mi incuriosisca, alla fine dei conti si va sempre a leggere autori maschi bianchi europei o americani. Sono razzista per questo? Non mi sento tale, continuo a ritenere che per essere razzisti ci debba essere la volontà di esercitare un “no” immotivato contro una determinata parte della popolazione.

Si è razzisti se per affrontare i pilastri di un genere si va praticamente sempre a leggere storie scritte da uomini bianchi europei? No, perché è innegabile che l’apporto costituito da essi in quel genere non si può banalizzare con la loro provenienza o casualità: su xmila persone simili a loro per sesso, colore della pelle e ceto, solo loro riuscirono a eccellere per capacità inventive e autoriali e questo deve avere un peso e un valore. Quindi eliminare certi autori per il fatto di essere casualmente (non si sceglie dove e come nascere, ma solo come vivere) nati in un certo modo, a me pare un razzismo al contrario. E lo trovo demoralizzante.

A questo punto quale deve essere il secondo passaggio? Informarsi sempre. Per quanto non creda nel patentino di autorità di un premio letterario, forse a volte varrebbe la pena guardarci dentro e cercare autori e autrici vincenti per capire quale storia possa essere la prossima lettura. Sempre che questi premi letterari non abbiano al suo interno regole di quote colorate che esulano dal valore di merito. Poi i social danno un sacco di visibilità a veri nerd lettori, a divulgatori capaci di sfrucugliare nelle piaghe della storia e trovare autori e autrici dimenticati dalla massa. Internet si può usare anche per queste cose e non solo per cercare bufale.

In questo articolo per esempio ho trovato qualche titolo interessante di cosidetta “black science” e mi ha suscitato tante curiosità perché sono convinta che pur parlando dello stesso genere (la fantascienza) ci siano mille modi differenti di descriverla. E sarebbe bello capire se esistono o meno differenze culturali così profonde da dare diverse angolazioni dello stesso argomento.

Come mio solito sproloquio per un po’ in modo disorganizzato e poi vedo se, alla fine, riesco a tirare le somme in qualche modo.

  • Credo che siamo in un periodo potenzialmente obeso di letteratura e possibilità, a tal punto che non aprofittarne sarebbe un po’ tanto stupido.
  • Credo che dovremmo valutare i libri per il loro valore comunicativo e letterario e che debbano essere le storie a essere giudicate e non le persone che lo scrivono (poi un giorno parleremo forse del perché le storie personali di certi autori e autrici mi colpiscono a tal punto che non riesco a leggere i loro romanzi).
  • Credo che dovremmo smettere con la sindrome da tafazi, se non leggiamo abbastanza libri di x, y, x (dove x, y, z stanno per quelle categorie che escono dalla nostra consuetudine e sono molto ben sponsorizzati dai social), pensando che sì leggere apre la mente (anche se non sono sempre convinta di questa cosa), ma non salveremo il mondo leggendo un libro.
  • Credo che dovremmo smettere di sentirci sporchi, perché il mondo là fuori non ci ritiene abbastanza cool (in senso letterario) e noi non riusciamo ad adeguarci abbastanza velocemente.
  • Credo che i libri debbano essere fonte di discussione sempre e comunque, un punto di riflessione, perché spesso fra le pieghe delle parole si nascondono pensieri da metabolizzare.
  • Credo che le prefazioni e postfazioni debbano essere un approfondimento al libro e darci ulteriori spunti di crescita e non un mero gioco a chi spoilera prima la vicenda narrata.
  • Credo che dovremmo fare uscire la politica dai libri e dalle storie, senza perdere il gusto di domandarci quale sia il brodo culturale che li ha prodotti.
  • Credo che dovremmo smettere di avere pregiudizi sui libri, ma che abbiamo tutti i diritti di dire che un autore o un’autrice non ci interessa anche per il semplice “perché no”, sapendo che la vita di ognuno di noi è infinitamente più breve della somma dei libri scritti fino ad ora.
  • Credo che la pressione dei social, dei bookinfluencer senza cognizione dovrebbe essere ridotta al minimo tornando a un sano passaparola, un sano supporto alle case editrici e alle loro scelte editoriali.
  • Credo che dovremmo chiedere alle case editrici più diversità non in nome di qualche quota colorata decisa per legge, ma proprio in base al merito, non chiudendosi alle paure meramente economiche, promuovendo anche una ricerca di libri passati che meriterebbero una seconda occasione.
  • Credo che dovremmo anche con leggerezza capire che se, analizzando xmila romanzi scritti nella storia, si è riscontrato che uomini e donne possono scrivere in modo differente e questa cosa si sente, non si parla di razzismo ma di diversità: la diversità rende questo mondo quello che è e mantenerla non sminuisce il concetto di pari diritti, ma solo sottolinea che per fortuna non siamo fatti con lo stampino.

Insomma sì esistono i pregiudizi ed esistono i razzisti anche fra i lettori, ma non lo sono tutti quelli che leggono solo certi scrittori e non altri. E forse dovremmo anche farcene una ragione con leggerezza.