“It follows” di David Robert Mitchell

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Aspettiamo che inizi il film a “I Giardini della paura”

“Il peggior pubblico presente ai Giardini” chiosa uno spettatore dietro al mio amico. Ah, già scusate, non abbiamo compreso l’occhio della madre di questo film, ce ne scusiamo tutti in coro. Non abbiamo compreso oltre agli omaggi chiari e fin troppo palesi, ma senza costrutto, alla cinematografia degli anni ’80, dall’ambientazione al modo di girare, alle riprese, ai costumi. E scusate se abbiamo riso e applaudito nei momenti “comici” in un film che di comico non doveva avere nulla: perché quando in un horror più di una persona scappa sonoramente a ridere o lo hai fatto apposta o qualcosa non quadra.

Che cosa è un horror per i comuni mortali? Un film che ti mette addosso angoscia, paura e quel sottile ma non troppo sentore che potrebbe essere vero; dovrebbe obbligarti a controllare inconsciamente dietro le spalle, quel rumore strano che non riesci a definire, quella persona che cammina; farti rimpiangere di aver spento la luce (o dato via al cuginetto piccolo, quella lucina che ti aiutava a sopportare le lunghe notti buie piene di mostri quanto eri piccolo). Insomma cose così. Se in un horror devo guardare le citazioni, l’uso della camera come il regista xyz allora, a mio sindacabilissimo parere, qualcosa non quadra. Saremmo stati anche il peggior pubblico dei giardini (della paura), ma di certo questo film non è parso il capolavoro che le recensioni hanno scritto.

Prima fra tutte quella su mymovies.it che gli assegna un 3,29 su 5 portando la freccetta sul lato dei film da non perdere. Ne sottolinea il valore di paura strisciante in un'”America puritana e sessuofobica” in cui la maledizione si trasmette per via sessuale. L’Internazionale si barcamena in una disquisizione filosofica che fa addormentare dopo cinque minuti da quanta prosopopea emana, ma centra il punto in due passaggi:

È come se David Robert Michell avesse smontato un film dell’orrore e avesse messo ogni suo tassello narrativo in una teca di cristallo o su un piedistallo. Con tanto di didascalia. 

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Forse la vera forza di questo film è la sua assoluta libertà dalla schiavitù della trama. Non sono possibili spoiler per It follows perché non c’è nulla da spoilerare. 

Ragioniamo un attimo su sta cosa. A mio parere se si smonta un film come si smonta una automobile e si mettono i pezzi su un piedistallo, la macchina non va più e tu la guardi e basta ma se devi andare in vacanza ti devi cercare un altro mezzo. Una macchina come un film deve fare il suo mero lavoro che non è solo farsi guardare ma raccontare (per i film), portarti in giro (per la macchina). Un film poi per quanto possa essere considerato un mero mezzo di comunicazione, assume in sè molti elementi: dalla recitazione come il teatro, dalla narrativa come la scrittura, dall’emozionare come tutti i media alla fine. E ogni genere narrativo ha la sua peculiarità: l’horror deve spaventare. Se lo spezzetti e lo metti sotto vuoto la paura gira da sola dentro una teca e poi si autodistrugge. Non è difficile capirlo. La paura si alimenta e si auto alimenta quando dallo sceneggiatore passa, attraverso alla regia, alla mente dello spettatore e continua a riprodursi cercando appigli continui, palesandosi quando meno ce lo si aspetta. Se la paura non fa paura che paura è?

Seconda cosa, che per me è la più terribile, la trama non dice nulla. Come sarebbe a dire ‘sta cosa? E’ come se io mi mettessi qua e iniziassi a scrivere parole a caso, legate fra di loro solo da fili invisibili, e dopo 1000 e più battute mettessi un punto e vi lasciassi così, senza farvi capire un nulla se non un vago sentore di un’idea di qualcosa (ecco, come queste ultime parole). E’ vero che siamo abituati alla verbosità, a sentire le persone che si parlano addosso, che amano sentire la loro voce anche quando è scritta, che perdiamo il senso delle parole stesse: quello di comunicare qualcosa. Se la trama non esiste, cosa significa tutto ciò? Per me significa che a qualcuno piaceva parlarsi addosso e far vedere come era bravo (un po’ come i bambini quando sono piccoli). Non mi quadra tutto ciò.

Tre sono gli elementi ricorrenti in più recensioni e che condivido:

  1. la maledizione che si trasmette attraverso via sessuale sembra quasi fare riferimento a tutte le malattie venere, Hiv in primis, che si possono trasmettere senza essere consapevole del rischio
  2. la solitudine dei ragazzi in una Detroit praticamente vuota di adulti.
  3. la resa del mostro.

Ora sul primo elemento niente da dire: ogni momento parte e si allontana seguendo la scia del sesso, con le parole “profetiche” del primo maledetto quando attacca la maledizione alla protagonista: la devi passare (che potrebbe anche essere letto come un “la devi dare”). Peccato che la protagonista e la sua genga di giovini amici esclusi dalla società dei loro simili (c’è la secchiona, quello sfigato, l’amica carina ma boh e il fattone che cucca un sacco di ragazze…che però faranno una brutta fine) si dimentichino il piccolo particolare a loro detto che devono spiegare allo sfigato di turno cosa accade. In fondo…che importanza ha? In fondo è importante fare sesso, farlo anche se ti becchi il mostro, farlo con chiunque (prostitute e passanti ammessi, anche se il regista non da conferma della consumazione glissando con leggerezza. I commenti sono pieni di domande su chi ha fatto sesso con chi), farlo e non dire nulla. Anche lo sfigato del gruppo pur di poterla avere dalla bella e maledetta accetta di prendersi il mostro…ma veramente?

Il secondo elemento è sia positivo che negativo. Rientra in quello che per me è la visione d’omaggio alla cinematografia degli anni ’80 dove si sposta l’interesse dalle vicende dei grandi per seguire i ragazzi nel loro percorso di crescita dall’adolescenza alla maturità: adulti di contorno, poco presenti, a volte dannosi. Qui si enfatizza l’assenza e da sicuramente quel senso di straniamento, di inevitabile solitudine, di incomprensione. Sarebbe positivo per un film narrativo, uno di quelli che si sofferma sui problemi del mondo con lunghi silenzi e movimenti di camera; è negativo perché i ragazzi sono totalmente inermi di fronte al mostro e non ci sono supporti di trama per sopperire a questa mancanza. I ragazzi non sono abbastanza nerd o disadattati per conoscere una qualche religione astrusa su cui lavorare per combattere il mostro e non conoscono alcun adulto senziente e utile (di solito qui appare un rabbino/sacerdote più o meno entro alle loro gerarchie oppure un professore vario ed eventuale), senza per forza scadere nello spiegone. I ragazzi subiscono e basta, anche se ogni tanto hanno un qualche rigurgito di opposizione e tentativo di distruggere il male, con scarsi e ridicoli risultati. Noia. Mi spiace, ma qui dopo un po’ subentra la noia.

Il terzo elemento è quello sicuramente più interessante e che fa del film un film di genere. Il mostro non ha un aspetto suo, ma assume le sembianze a caso di persone più o meno conosciute dalla vittima. Come lo si riconosce? Dalla camminata. Il mostro “non ha tempo e non ha fretta” (lo diceva la mia professoressa di greco del liceo riguardo agli dei); cammina con passo dinoccolato, un po’ zombesco; punta alla sua preda senza farsi distrarre dagli altri, come se avesse il mirino puntato. Ha un vero e solo difetto: quando trova le porte di casa chiuse a chiave, si dà al vandalismo e spacca le finestre con un sasso… Detto questo, questo aspetto è sicuramente il più riuscito dal regista dove si vede che si sbizzarrisce con movimenti di camera, entrate in scena di personaggi muti e “inutili” buoni a spostare l’attenzione dello spettatore e far provare almeno un sentore di brivido.

Potrei continuare ancora per molto, ma alla fine il succo è quello. Il film sembra un tentativo di essere più incisivo dello spot degli anni ’90 con l’alone viola per mettere in guarda dalle malattie veneree e sessuali; è un omaggio sfacciato; non mi ha fatto paura e non riesco a capire come la gente possa aver avuto paura di questo film. Parlo di paura vera e non di brividini vari ed eventuali.

Scheda tecnica stringata

Regia 6; Scenografia 7 e mezzo; Sceneggiatura 4; Costumi 7; Effetti Speciali 7; Musica 7 (ma deve avermi infastidito perché non la ricordo bene); Fotografia 7; Cast 6 (senza infamia e senza lode).

Voto finale: 5. Volete proprio vederlo? Allora guardatelo per altro e non perché è un horror.

Aggiungo qualche link nel caso voleste leggere recensioni positive e molto ben scritte e documentate e con tante citazioni che fanno quelli che ne sanno un sacco. Movieplayer I 400 calci tanto per citarne altri due con qualche commento in aggiunta.