“All around fantasy world”: la challenge dedicata al fantasy a 360°

Il mondo social dice che se vuoi farti tanti followerz (sì con la z) devi indire una challenge. Ma farla partire è facile, tenerla in piedi no. E io l’ho scoperto subito e sapete perché? Perché non ho la testa e il tempo mentale per fare come i bookqualcosa che valgono e che dedicano tempo e spazio, in modo costruttivo, a quello che amano di modo che arrivi a tutto e a tutti. Io no. Punto. Facciamocene una ragione, alla fine aveva ragione la mia amatissima maestra delle elementari che mi disse “tu potresti arrivare al 10 con un po’ di impegno, ma ti fermi a 7 per non fare troppo sforzo”. Frase pedagogicamente allucinante, ma veritiera in ogni suo atomo.

Torniamo alla challenge. Volutamente la sposto dai social al blog perché mi rendo conto che, oltre alla mia pigrizia, questo mio progetto lo vedo come qualcosa in continuo divenire che ha bisogno di tempi e spazi lenti, di continuo aggiornamento, di posizionare dei mattoni e costruirci cose su. E sui social tutto ciò non si può fare. Quindi w il blog! Comunque se non vi spiego cosa è questa challenge dopo xmila parole voi come potrete mai condividerla?

“All around fantasy word” (o “il boh del fantasy” per gli amici) non è tecnicamente una challenge a puntate, ma un modo metodico (e nello stesso tempo caotico, dove tempo e spazio si rincorrono in un continuo divenire) per riuscire a sviscerare amabilmente tutta la complessità del genere fantasy passando dai libri ai film, alla musica, ai cartoni animati e anime, dai fumetti e manga, dall’arte a tutto quello che vi viene in mente, perché alla fine limitarci a un solo medium comunicativo è noioso non credete.

Partiamo però dalle guerre puniche ossia dalla mia adolescenza dove scoprì alla giovine età di 14 anni che esisteva il fantastico e oltre a iniziare a giocare a D&D scatola rossa scoprì anche tutta un’infinita varietà di romanzi. O almeno quelli che si potevano recuperare in libreria, tradotti, grazie a diverse case editrici meritorie. Ma quando si è ragazzini negli anni fra gli ’80 e i ’90 (del secolo/millennio scorso) non è che pensassi a quale sottogenere appartenesse quello che stavo leggendo/ascoltando/vedendo. Era fantasy. E sinceramente a me andava bene così.

In realtà andrebbe bene anche ora, ma un paio di anni fa mi sono chiesta “e se invece di rimanere monoliticamente nel tuo nido fatto di pigrizia non cercassi di capire perché ci sono sottogeneri diversi e cercassi di capirne le differenze?” e dopo aver tergiversato mi sono messa a capire quali libri avessi ancora da leggere, di che genere potessero essere e come ragionarci su.

Un libro può benissimo essere catalogato in un genere narrativo (anche se a volte non è così chiaro), ma allo stesso tempo può avere mille sfumature di diversi sottogeneri: quindi un fantasy può essere al contempo un urban fantasy con high magic, dark etc. senza considerare tutti i trope che ultimamente permettono ancor più una etichettatura dei generi. In un’epoca in cui per farsi vedere più usi # diversi e meglio è, anche parlare di libri non è così semplice come durante la mia adolescenza.

In soldoni cosa è questa challenge?

Ogni tot di tempo (i/le bookqualcosa sono bravi/e a farsi un piano editoriale spesso mensile e seguirlo, ma io leggo a umore e a “spostamento” mezzi quindi ciccia, io posterò a caso, ma con un ordine) usciranno degli articoli sul blog, con magari link alla pagine ig (mie soprattutto, ma anche di altri bookqualcosa meritori con tanto di link e citazioni) con i diversi libri che ho letto, dedicati specificatamente a un sottogenere del fantasy; cercherò di darvi una mia spiegazione; stilerò un piccolo elenco di opere collaterali da vedere o da leggere e poi lascerò spazio a voi di aggiungere non solo opinioni, ma tanti suggerimenti per me e per tutti quelli che passeranno di qua. Cercherò di rimbalzare il tutto anche sui social in modo da dare visibilità collaterale a tutti e far capire che la collaborazione può essere un mezzo vincente per far capire che il fantasy è talmente complesso che indicarlo come un genere per bambini non solo è riduttivo, ma soprattutto ridicolo. Spero che vogliate unirvi a me in questo lungo cammino pieno di consigli, perché una cosa che sa ogni lettore è che la wish list (wl) non è mai abbastanza lunga.

Benvenuta gente! Il boh del fantasy vi aspetta. #ilbohdelfantasy

Anteprima (così magari vi preparate): il prossimo post riguarderà il “FANTASY MITOLOGICO”

Ebbene sì sembra che io stia tornando.

L’ultimo post di questo blog è del 2022. Nel mezzo il post pandemia, io che cerco di avere un senso su ig, capire tt e leggere. Tanto. E parlato poco. Perché sono qua allora? Perché questo posto mi manca, ma va ristrutturato non nelle fondamenta, non cancellando quello che ho fatto, ma cambiando modo di comunicare. Da un po’ avevo pensato che lo spazio ridotto dei social non mi permetteva di dire chiaramente la mia, anche se lo scritto è sempre più complesso del parlato e forse dovrei trovare una buona mediazione fra un mezzo come tt (che non è vero che sia pieno di balletti stupidi e donne discinte) e questo blog. Perché mi manca. Terribilmente. Anche se penso che oramai sia un mezzo obsoleto, un po’ come le macchine fotografiche con il rullino. Eppure stanno tornando anche loro e magari tiro fuori la mia vecchia reflex e la porto a fianco della mia bridge. Perché forse il futuro, anche per una “anziana” come me, non è cavalcare l’onda e stare al passo coi giovani (e non è possibile perché le ginocchia mi cigolano a fare le scale, pensa te se mi metto a competere coi balletti), ma uscire col pattino e solcare l’Adriatico (che è meno impegnativo anche del Tirreno) e farlo a modo mio e smettere una sorta di eremitaggio che mi sta stretto.

Leggere è qualcosa di solitario. Vedere film è spesso qualcosa di comunitario. Vedere serie tv è un mischione. Ascoltare musica è un fatto sociale.

Oppure abbiamo sbagliato tutti i concetti?

Non è detto nulla di ciò. Ho imparato ad andare al cinema da sola, capendo che non ero davvero da sola dentro a una sala e ho ripreso i miei tempi, anche se mi piace davvero andarci con amici et similia. Ho trovato la via d’uscita dai blocchi di lettura e scoperto libri grazie ai gdl online. Ho condiviso consigli di film con le colleghe giovani (esistono persone che votano e sono nate nel mentre, o appena prima, della trilogia del “Signore degli anelli”. Per dire.) e nel mentre riso tanto e capire che il gap generazionale è qualcosa che esiste ed esisterà, ma che va colmato. Ho parlato tanto online perché dal vivo non era possibile, perché i canali non solo quelli degli orecchi, ma quelli della volontà e a volte funzionano meglio quelli fra sconosciuti. Ho ribaltato tante mie convinzioni, ma soprattutto quella che se sei lettore devi difendere il fortino, perché è male uscire a leggere a voce alta in mezzo alla gente che poi ti prendono per matto. E se fosse bello essere matti in mezzo a tanti “sani”?

E quindi torno qua, a mio modo. Prima vedrò di risistemare le varie pagine extra (tante cose sono per me non più necessarie), poi nel mentre parlarvi dei progetti-challenge di lettura che sto portando avanti o che sto cercando di mettere in piedi da me, poi tanti pensieri più o meno sparsi, più o meno coerenti, ma di sicuro miei. E condividere e sperare che ci siano anche le vostre parole, perché i social quando funzionano sono dialoghi e i monologhi li lasciamo ai film di ampio respiro.

Sembra proprio che io stia tornando, sapete?

I nerd sono morti! Evviva i nerd!

Lo so, lo so benissimo che il titolo è provocatorio ma alla fine mi capirete. Prima di tutto vorrei dirvi che questo post, dopo un anno e passa dall’ultimo, nasce da una mia lunghissima riflessione frutto di fastidi vari ed eventuali, polemiche assurde sui social, difficoltà a capire cose mie e altrui. Insomma non è facile e non è nemmeno detto che sia il punto di arrivo di tutta questa serie di pensieri. Di certo è un punto, una tappa, un qualcosa.

Prima di tuto permettetemi, se non mi conoscete e non avete mai davvero avuto a che fare con me, di fare una piccola presentazione di me nerd, perché la me nerd è il centro focale della me non nerd (sempre che sia davvero esistita una me non nerd. Forse ero solo una nerd in nuce, senza sapere cosa significasse esserlo). Avevo 13 anni circa quando al mare ho iniziato a giocare con la scatola rossa di D&D. No, non quella di “Stranger Things”, ma quella originale, quella vera, quella che ha fatto venire una lacrimuccia proprio a rivedere da grandi la serie tv che strizza gli occhi agli anni ’80 e a quella pletora di “sfi ga ti” o “sa ta nisti” che venivano additati da quelli “nor mali”. Non eravamo niente di quello che ci accusavano e gli altri non erano quello che si ritenevano. Eravamo solitari e forse un po’ impauriti dalle storie che tutti raccontavano…vabbè questo non c’entra dai.

Comunque sia da quel dì non ho smesso di leggere fantasy, grazie alle storie che allora arrivavano in Italia: eravamo una sorta di carbonari che si intrufolavano nelle librerie sperando nell’Editrice Nord, nella Cosmo o anche nella Mondadori (ben lontani i tempi dei draghi di adesso). Se andava bene i più fortunati avevano edicole fornite e i veramente ricchi avevano le prime fumetterie. “Letto & riletto” (sì quello immortalato in Ratman. Perché anche Leo c’era!) quanto ti devo moralmente (i soldi li hai tutti, tranquillo, niente chiodi). Ogni volta che riguardo le mie edizioni Armenia dedicati alla Dragonlance torno direttamente agli anni’90 e mi scende una lacrimuccia. Non sono mai stata un’accumulatrice e non avevo la paghetta, quindi ho imparato velocemente l’arte del risparmio e della condivisione. Il bello di quel tempo era che condividevamo tanto: ohhhhh quante fotocopie e manuali passati di mano in mano! Che tempi!

Poi il periodo universitario, con una sorta di attivismo, gli anni dei primi larp con le armi in materassina e le armature di lamè. E poi c’era “Lucca Comics” poi i Games: due volte l’anno, nel palazzetto dello sport. L’ho vissuto in pieno quel tempo, con le macchinate per andare in giornata e tornare a casa con dei tesori da condividere con gli amici (allora sì che c’erano dei signori sconti da fiera!). Ho vissuto l’emozione del primo padiglione e poi di entrare in città: eravamo usciti dalle caverne. Le lunghe lotte contro i giocatori di ruolo da parte di psicologi e giornalisti e pseudo religiosi erano forse alle spalle. Il peggio sembrava passato. Ero lì, da stendista, quando Lucca sotto un assedio festoso di cosplay e nerd di ogni tipo, generazioni di nonni genitori figli e nipoti nerd camminavano festosi senza riuscire a fermarsi, ero lì quando Lucca, dicevo, divenne la seconda fiera mondiale superando San Diego. Quando la notizia si sparse per gli stand, piangevamo, non sapevamo per la gioia, la stanchezza, i panini mangiati male, i sebac irraggiungibili o per le tante umiliazioni che avevamo subito per arrivare fin lì e farci arrivare a quel punto.

Poi per me si ruppe l’idillio.

Non sono una nerd accumulatrice, proprio perché quegli anni di povertà per tutti mi aveva insegnato che non esiste party se non si mettono insieme “casa manuali schifezze da mangiare e dadi”. Non ho sbagliato a scrivere “condividere” per tante volte: quello è stato il fondamento del nostro essere nerd, quando non era una parola positiva. C’eravamo noi soli a darci una mano fra noi, a difenderci, a crederci. Forse la vivo come il mito dell’età dell’oro, ma credetemi per quanto possa dire i difetti che c’erano (avete idea cosa significa essere fra le prime giocatrici di larp a livello nazionale? Non è stato facile, ma spesso è stato da riderci su) erano inferiori a tutto quello che ho avuto umanamente e culturalmente. E’ stato un gran bel momento.

Come si ruppe l’idillio?

Non lo so. Vorrei dire che sono cresciuta e ho smesso di credere alla magia, ma non è stato così. I nerd, quelli che conoscevo io, sono cresciuti con me e hanno deciso di espandersi anche a livello social, lasciando quelli più “anziani” a cercare cantieri adatti. Nuove generazioni si sono succedute e io ho sentito una frattura. Come dissi un giorno a un mio contatto social: “noi nerd generazione X non siamo stati in grado di educare e formare le nuove generazioni, ci siamo chiusi nella nostra eterna adolescenza e li abbiamo mandati al fronte da soli, creando una generazione incattivita, solitaria e bisognosa di costruire muri. Abbiamo sbagliato.”

Scusate.

Sì è quello che penso. Perché non tutti i nerd hanno figliato e non tutte le nuove generazioni hanno genitori nerd da cui raccogliere il testimone. Noi ci siamo beati che diventando grandi, coi soldi finalmente in tasca, potessimo spenderli in cose per noi, ci siamo presi un diritto non nostro di voler tarare tutto al nostro gusto, rivendicando diritti che sinceramente non aveva senso di rivendicare. La condivisione si è trasformata in possesso, in collezionismo sfrenato e siamo caduti nella trappola del consumismo sempre più deleterio. E siamo diventati ciechi e incattiviti. Ci sono cascata anche io, incavolandomi quando vedevo modificato il manuale su cui ero cresciuta, le avventure che avevo giocato, i film che avevo amato, i libri che mi avevano fatto crescere. Avevo tirato su un muro. E mi sono arrabbiata quando le nuove generazioni hanno cercato di abbattere tutto quello che era passato, dichiarandolo non solo superato, ma addirittura tossico, distruttivo, antico. Si è creata una fattura, si è creato un muro, i nerd sono scesi in battaglia l’un contro l’altro armato.

Ed è allora che abbiamo perso.

Mi ci è voluto molto per capire come sbollire il mio senso di fastidio, il nervosismo imperante, la mia frustrazione alimentata continuamente dalle polemiche, finché un giorno un illustre sconosciuto su fb disse una cosa del tipo “ma guardate che non ci hanno tolto i libri, i film, i manuali e i videogiochi. Noi li avremo sempre. Stanno solo costruendo prodotti che non sono più per noi, ma per le nuove generazioni.” Un concetto così semplice, ma che mi ha spogliato del mio malessere. Ho guardato la mia libreria che nel mentre cresceva grazie ai mercatini degli usati (quanti libri ho recuperato!), ho ripensato al mio gruppo di D&D scatola rossa con cui ho giocato online nei 2 anni di pandemia e lockdown (un’operazione nostalgia da manuale!), a tutti i miei ricordi, ai film visti e ho capito che era vero così. Che a nostro modo è ora di passare lo scettro, di lasciare che una nuova generazioni di nerd si costruisca il proprio linguaggio, libera di recuperare quello vecchio e noi disposti a fare i testimoni di quel tempo.

C’è un nuovo modo di comunicare, forse in certi punti meno consapevole e meno davvero libero da influenze esterne; ci sono nuovi prodotti; ci sono nuovi personaggi; c’è un nuovo mondo nerd che necessita di capirsi, di farsi capire, di pretendere il posto al sole come lo abbiamo richiesto noi. Perché se vogliamo che quello che abbiamo amato e costruisca possa continuare a sopravvivere dobbiamo farlo crescere, non tenerlo nascosto e poi lasciarlo andare. La lezione che abbiamo imparato a nostre spese negli anni ’70-’90 (mamma mia quanto tempo!) è non solo che “l’unione fa la forza”, ma anche che “la fantasia è la nostra forza”: se la uccidiamo in noi o negli altri, se permettiamo alla politica, all’ideologia, al denaro di dividerci vuol dire che alla fine hanno vinto loro, quelli che ai nostri tempi ci cercavano per picchiarci o deriderci, per etichettarci come dei disadattati mentali, quelli da curare o da esorcizzare. La comunità nerd è stato, ripeto anche con i difetti e gli errori, un momento di crescita e di protezione per tante persone e questo è un bene che va difeso e diffuso.

Quindi se da una parte noi nerd vecchia generazione abbiamo diritto alla pensione (solo quella, perché altra non la vedremo) a goderci tutto quello che abbiamo amato, i nuovi nerd hanno bisogno di rivendicare il loro spazio nel loro mondo a loro modo senza distruggere, ma solo aggiungendo.

I nerd sono morti! Evviva i nerd!

Always.

Parlare di libri sui social è una battaglia persa?

Salve, mi ritrovate qua a sproloquiare, perché in fin dei conti non ho voglia nè di fare un’infiità di storie su instagram, nè farci un IGTV, nè aprire un profilo youtube. Io scrivo, a volte, per rimettere in fila i pensieri. Ovviamente dico la mia dopo l’ennesima e inutile polemica sui social contro i social per i social (in matematica quanto fa per per per per qualcosa? E’ una potenza? Mah). Quindi mettiamo in fila i pensieri e partiamo coi bei punti di un elenco.

  1. Rivoluzionare il concetto di social

I social sono nati per riallacciare i contatti con le persone perse per strada (che se poi le hai perse ci sarà un motivo no?), farsi i fatti degli altri, farsi fare i fatti propri dagli altri, vomitare il proprio disagio sugli altri. Eppure eppure…i social sono un banale mezzo, come l’automobile o una matita. La differenza sta in chi lo usa. Ecco perché un’automobile è un ottimo strumento per viaggiare in mano a una persona attenta, mentre a uno scriteriato è anche uno strumento di morte; la matita serve a disegnare, ma anche a denigrare. Chi la usa, modifica lo strumento. Quindi dobbiamo continuare a usare i social in modo disturbante e disturbato? No, ma dobbiamo solo averne la cosapevolezza.

Non esistono corsi di social o almeno non che io lo sappia. Noi usiamo i social, l’automobile e la matita per quello che siamo noi e di conseguenze nel bene e nel male ci mettiamo quello che siamo noi. A volte è qualcosa che arricchisce la comunità che ci gira attorno. A volte no. Per niente.

Ci vorrebbe quindi un corso per imparare a usare i social? Diciamo che sarebbe bello che nel rientro dell’educazione civica nelle scuole si mettesse anche l’uso di internet (e magari succede non so), ma soprattutto si dicesse che dei social non bisogna averne paura, che non sono il male. Se una parte degli adulti non li demonizzasse, i giovani non sarebbero così attratti al lato oscuro dei social (che li mangia e impedisce loro non solo di esprimersi liberamente, ma anche di formarsi una coscienza. Questo è un discorso ampio). Nel momento in cui iniziamo a comprendere le potenzialità del mezzo e iniziamo a sfruttarle per il costruire piuttosto che distruggere, allora i social sono un validissimo strumento. Guardate tutte le serie pagine di divulgazione scientifica che ci sono su internet che lottano (è giusto usare questo verbo) contro le bufale e la disinformazione.

2. Essere noi stessi

Come detto sopra, noi usiamo i social per come siamo e quindi è nello stesso tempo un bene e un male per il semplice motivo che noi siamo individui che per carattere possono costruire o distruggere, essere o meno capaci di divulgare o anche solo di comunicare. La nostra individualità è comunque un bene prezioso, ma esercitarla e alimentarla senza farla diventare un egoistico ioioioio continuo è un compito arduo che secondo me, a volte, dovrebbe avvalersi di un aiuto di un terapista. Ecco l’ho detto.

Detto questo entrando nello specifico, la nostra individualità come lettori è comunque un valore aggiunto anche se in molti non sono in grado di spingersi oltre al “mi è piaciuto/non mi è piaciuto”. Quindi come detto sopra, quello che siamo fuori dall’internet lo siamo anche dentro.

Quante persone conoscete che non sanno articolare un pensiero proprio, originale, costruttivo, senza ripetere magari a memoria quello sentito dire alla tv o dal barbiere o letto nel giornale xyz? Ecco, lo stesso numero si trova anche nei social. Siamo sempre quello che siamo noi. Sempre. Non si scampa. Gli analfabeti funzionali, il matto del paese, il leone da tastiera non sono invenzioni degli ultimi 20 anni, ma ci sono sempre stati, solo che ora hanno una piazza immensa nel quale urlare le proprie idee. A fianco del divulgatore, dell’originale, della comunicatrice scientifica. Purtroppo i social amplificano le voci negative più che quelle positive.

Entrando nello specifico, fra le vostre conoscenze di lettori e lettrici quanti ritenente veramente originali e fuori dal coro, competenti e stimolanti? La percentuale, mica i nomi. Per quel che mi riguarda sono la minoranza. Molti leggono senza farsi una domanda, un perché, seguono la corrente, si fidano dei giornali, comprano libri che non piacciono solo perché la pubblicità li ha convinti che “devono” leggerli e via discorrendo.

Quindi la vita social amplifica solo quella vera, dando voce e spazio.

Per quello che mi riguarda amplifica la noia…maaaa questo è altro discorso.

3. I social devono essere settari, come le caste sociali?

Ma anche no!

Proprio perché abbiamo una costituzione che difende il diritto di parola e “purtroppo” nelle democrazie esiste il paradosso della tolleranza, ognuno di noi ha il diritto di leggere quello che vuole, dire che è bello bellissimo, non aggiungere alcunché e passare ad altro.

I social dovrebbero però capire in quale modo premiare il merito. Purtroppo non lo abbiamo capito nella vita vera, quindi che straparlo a fare?

Diamo pure per scontato che sia possibile premiare il merito e quindi puntare su una sorta di meritocrazia anche se basata sui followers piuttosto che sugli articoli scritti su prestigiose riviste, tutti hanno diritto di dire la propria sul libro letto. Punto. Su questo non si scappa.

La polemica è nata proprio per questo motivo ed è un po’ una polemica elitaria e qualunquista. Elitaria perché presuppone che gli l’ha scatenata possa permettersi dall’alto del suo giudizio (insindacabile?) di giudicare gli altri. Qualunquista perché mi verrebbe da dire “ma va? veramente vogliamo più qualità e meritocrazia? Ah non ce ne eravamo mai accorti!”

4. I social creano davvero confronto? Sono utili ai libri?

No, i social sono un mezzo disarmonico e con una comunicazione diseguale. Da una parte c’è uno che dice la sua, dall’altra il resto del mondo che applaude o contesta. Non c’è una vera interazione come se fossimo in un gruppo di lettura vero e ci mettessimo davanti a una birra a dire la propria su quello o l’altro libro. C’è un io che parla e tanti tu che ascoltano e che a volte si trasformano in interlocutori, mai purtroppo sullo stesso piano comunicativo. Ovviamente sui social di bookqualcosa si possono creare amicizie, relazioni, collaborazioni e riuscire a dare qualcosa in più, ma per come è fatto c’è un uno dalla parte dello schermo e tanti altri dall’altra parte, spesso anonimi e silenti che seguono e/o si fanno influenzare.

In più c’è un meccanismo perverso nato qualche anno fa: la collaborazione gratuita (e non) con le case editrici. Ci sono bookqualcosa che sanno fare il loro mestiere e portano una professionalità sostituendo i giornalisti critici letterari e ci sono bookqualcosa che sbavano per avere libri gratis, fare gli unboxing, far credere di essere nel giro giusto e poi manco leggere i libri, rivenderli al Libraccio e fare felice un altro lettore (con o senza profilo instagram) che si può comprare la novità a metà prezzo. E’ inutile che ci nascondiamo dietro a un dito: non sempre esiste la meritocrazia, ma alle ce basta avere visibilità a poco prezzo (relativo…ma evidentemente costa di meno spedire x copie di libri a x+1 bookqualcosa che pagare le pagine dei giornali, delle riviste di settore e tanto altro. Se no, non si spiega). Questo circuito perverso di collaborazioni tutte uguali crea il malcontento e anche un bulimico bisogno di avere, dimostrare, esserci e postare, indipendentemente dalla qualità.

In fin dei conti come è il detto?

Nel bene o nel male, purché se ne parli.

Eppure i social hanno dimostrato che delle piccole e combattive comunità di lettori possono richiedere a gran voce che una certa edizione venga ripubblicata, che un libro venga rimesso sul mercato, che ci siano nuove traduzioni, che una piccola ce possa essere conosciuta sempre più. In realtà i lettori sui social sono una risorsa fortissima. Perché non è più un concetto di come se ne parla, ma è il concetto che il lettore tendenzialmente compra, chiede, consiglia molto più velocemente che il giornalista su una rivista. Quello che un tempo era il passaparola nella piazza, di solito un pettegolezzo che rovinava una persona, ora è un piccolo vortice che porta un libro dall’angolo ombroso di una libreria alla luce più luminosa di una manifestazione.

Certo il meglio sarebbe affiancare la vita online con una vera, magari creando modalità d’incontro più paritarie come i vecchi e cari gruppi di lettura (anche se poi c’è sempre un coordinatore che se è madre/padre indissussa/o è un casino e va tutto a scatafascio indipendemente dalle persone. Provato sulla mia pelle).

Un tempo pensavo che avessero diritto di esistere solo alcuni libri e autori e che la cosidetta “lettura spazzatura” (i famosi 3 metri e qualcosa sopra altro e in fila per due col resto di altro) non avessero diritto di cittadinanza. Ma mi sbagliavo. Eccome!

LEGGERE E’ UN DIRITTO.

Leggere arrichisce, svaga, fa pensare, fa sognare. Soprattutto, fa sognare.

E chi siamo noi per giudicare la famosissima casalinga di Voghera (che avrebbe diritto di una statua in bronzo quasi come il Milite Ignoto) se invece che leggere il solito libro pakistano che parla del bambino che ha perso l’unica sua pecora che gli dava sostentamento e compagnia, vuole leggersi un Harmony? Oppure se il meno famoso astronauta di Pontremoli invece che leggersi tutto il giorno manuali di astrofisica, si dedicasse alla lettura di un ya con licantropi fuffosi e vampiri sbriluccicosi? Noi non siamo nessuno e dovremmo piantarla di puntare il dito. Lasciate che la gente legga quello che vuole, come vuole, quando vuole e dica quel che pensa a suo modo.

L’unica cosa che dobbiamo riflettere su questa ennesima polemica sull’internet di libri è che quando decidiamo di seguire qualcuno, lo dobbiamo fare perché ci arricchisce, ci spinge a spostare il nostro limite, ci pone domande, di fa rilassare e costruisce una comunità positiva e stimolante. Indipendemente dal genere che si legga. Che si costruisca una rete sana, che dia sostegno alle biblioteche e alle librerie, alle case editrici piccole o grandi, che promuova il Bello più che il nulla. Essere lettori consapevoli lo dico sempre, è l’unica differenza che possiamo avere.

2. Essere noi stessi

Quanto costa un libro?

La domanda è annosa e ciclica e sinceramente un po’ viene a noia, ma è corretto ragionare su alcuni punti:

  1. Quanto costa produrre un libro
  2. Quale è il ricavato per i singoli anelli della filiera
  3. Quanto incide il comportamento del lettore sul prezzo
  4. Quanto incide l’inflazione e le condizioni economiche generali

Mi avvalgo della competenza tecnica di Chiara Beretta Mazzotta che nel suo bel blog nel 2016 chiariva proprio i passaggi dei primi due punti: https://www.bookblister.com/2016/01/21/prezzo-di-un-libro/

Ora andate a leggere il post e poi tornate qua.

Fatto? (No, non serve il vinavil, ma se lo avete a portata di mano e avete un palmo della mano intonso…ecco sapete cosa dovete fare).

Bene. Visto quanta gente è coinvolta nel processo di creazione di un libro? Tutta questa gente non fa il proprio lavoro gratia et amore dei, ma lo fa perché oltre alla passione, c’è anche un bisogno primario di pagare le bollette e la spesa. Oh se poi ci tiriamo fuori due spicci per una pizza e un cinemino mica si offendono! Ogni anello della filiera ha il diritto sacrosanto di desiderare di avere guadagni proporzionati al proprio lavoro, come previsto dalla Costituzione Italiana.

Quindi sì il libro costa: dalla sua nascita fino al momento in cui arriva nelle nostre mani. E allora il libro è un bene di lusso? In qualche modo sì. O no. Ragioniamoci un attimo.

Senza partire dal papiro e gli egizi, ma un piccolo ripasso di Storia ci vuole per far capire che dalla sua nascita fino a oggi, il percorso che differenzia l’uso della carta (papiro, pergamena, etc.) da quello del libro ha nel mezzo un abisso enorme: il prezzo. La carta è comunque un bene quasi di lusso finché da Fabriano (Marche, Italia. Sì, mi sento campanilistica), attraverso un miglioramento delle tecniche precedenti, anche cinesi, la carta viene prodotta da materiali non più costosi come i greggi di pecore (che poi, sai che noia mangiare sempre brasato per mesi ogni volta che all’abate veniva lo sgriribizzo di regalare o copiare un libro?), ma più accessibili. Dal XIII secolo in poi, credetemi, la vita del lettore iniziò impercettibilmente a cambiare.

Eppure, il libro era un bene di lusso. Prima di tutto per il costo di produzione, molto più alto nel complesso anche senza la presenza di Messaggerie e delle catene di librerie, ma perché il libro era un oggetto d’arte fatto interamente a mano per persone che lo sfoggiavano come un gioiello. Secondariamente perché il tasso di analfabetismo era molto alto (fino agli inizi del 1900 in Italia era intorno al 70% ovviamente variabile per la popolazione femminile e quella maschile) in tutte le classi sociali: non è che siccome eri riccone eri per forza un genio della lettura! Ovviamente più ci avviciniamo al 1900 e più il tasso di scolarizzazione nei ceti medio alti aumenta il tasso di alfabetizzazione, per entrambi i sessi. Quindi, tutti ciechi e sordi fino alla scuola dell’obbligo? Per niente. Anzi. Molto probabilmente proprio la difficoltà di apprendere liberamente a storie e racconti, faceva sì che la gente ascoltasse chi sapeva raccontare in forma orale o leggendo quello che succedeva nel mondo e nella fantasia: per secoli abbiamo ascoltato più che letto, abbiamo visto i burattini impersonare le nostre storie, siamo andati a teatro anche di straforo. Paradossalmente i periodi storici meno alfabetizzati hanno visto l’aria riempirsi di parole da condividere, perché non esisteva quasi una lettura isolata, ma un atto civile di comunità.

Ma voi non ve lo ricordate Paolo e Francesca e il malandrino testo? Insomma, uno leggeva all’altra per mille motivi, ma visto che siamo nel 1200 e rotti forse Paolo sapeva leggere e Francesca no e come tutti i nobilotti italici invece della tv ascoltavano libri!

E qui si sfonda la porta aperta al discorso audiolibri, ma lo affronteremo un’altra volta. Ok?

Torniamo ai libri come bene di lusso. Senza rifare la storia sappiamo che il “santo subito” Johannes Gutenberg perfezionò la tecnica a stampa e rese davvero i libri molto meno costosi e alla portata praticamente di tutti. Di tutti quelli che sapessero leggere, ovviamente. Quella fu davvero una rivoluzione non solo economica, ma fortemente sociale. Da lì in poi diciamocelo, oltre al fatto che la situazione europea politica era un gran casino, ma ci fu davvero una rivoluzione. Eppure l’ascolto a mio parere rimase primario soprattutto in quegli strati sociali che non avevano accesso alla scolarizzazione di base.

Facciamo un enorme salto in avanti e raggiungiamo l’Ottocento e il Novecento con i suoi libri a puntate che uscivano su giornali e giornalacci a pochi spicci (i famosi penny dreadful per gli amanti dell’horror inglese) raggiungendo davvero tanti lettori. Forse il punto più alto per noi appassionati di libri? Mah, non saprei, anche perché le statistiche da un certo punto indietro sono praticamente impossibili per gli storici. Di certo cambiarono i rapporti fra scrittori e lettori, per quanto i primi spesso rimanevano poveri in canna o spendaccioni patentati (eh Alexandre Dumas padre, ne vogliamo parlare?) e i secondi in base alla propria vita racimolavano tempo e spicci per leggere e svagare la mente. Risaltiamo in avanti e arriviamo al secondo dopoguerra: qui ci fu il boom in tutto il mondo occidentale sia di alfabetizzazione, di scolarizzazione e di diffusione del libro.

Qui i lettori nacquero come vera e propria categoria culturale e sociale. Qui si formò quella che, per me ma con tanto affetto, è una categoria viziata in paragone ai lettori del passato.

A questo punto il mio excursus diventa un po’ personale e quindi, come giustamente afferma lo storico Barbero, la memoria non è una fonte storica. Però può essere d’aiuto.

Sono stata bambina negli anni ’80 e quindi nel boom economico e sono cresciuta in una famiglia di forti lettori che non aveva problemi economici; sono una secondogenita e quindi avevo a disposizione anche cose degli altri. Soprattutto perché, mi ripetono i miei ridendo ma anche no, con mio fratello si sono sbizzarriti, con me hanno tirato un po’ i remi in barca perché due figli sono costosi. La tradizione a casa era, tolti i premi per gli esami medici (tradizione rimasta negli anni, ma allora era un bieco modo per corromperci e farci star buoni durante le visite), che si compravano o regalavano libri cartonati, ciccioni, fichissimi per le feste comandate, ma per tutti gli altri periodi si aspettava l’edizione economica: negli anni ’80-’90 le case editrici, un po’ come succedeva anche per i film, facevano uscire i propri prodotti in due periodi dell’anno o a distanza di mesi, prima i cartonati poi gli economici. Questo obbligava a una pianificazione degli acquisti anche se, potendo irrompere impunemente in tutte le librerie di casa, ovviamente leggevo più di quanto comprassi (o mi compravano, più correttamente).

Poi come detto altrove in questo blog, la crisi economica e la nascita dell’amore per le biblioteche, ma il succo rimaneva lo stesso: leggevo più di quel che compravo.

A questo punto con la nascita dei social e la scoperta dei bookqualcosa online, la possibilità economica e mille altre cose (anche il fatto che il libro è sempre meglio di una pessima compagnia umana), ho incrementato gli acquisti in modo compulsivo, magari scegliendo, ma sempre comprando più di quel che avrei mai letto in quegli anni (considerando che per anni ho letto relativamente poco). Col tempo però ho visto che questo mio atteggiamento era diffuso e mi sono chiesta: non è che siamo lettori bulimici?

Secondo me sì. C’è anche una gara a chi compra più di altri (senza calcolare le collaborazioni con le case editrici), a far vedere che posseggono libri, come se i prestiti di biblioteche e da amici fossero segno di lettori di serie b. Compriamo e poi ci lamentiamo che molto di quello che leggiamo non ci piace o non è all’altezza della spesa. È un meccanismo bulimico di possesso. E le CE? Beh secondo me loro in qualche modo ci marciano perché sanno che, alla fine,  i lettori compereranno comunque, lamentandosi magari, come se fossero marinai senza Ulisse affascinati dalle sirene.

Non voglio per forza vedere nelle CE il male, sia chiaro, però c’è un concorso di colpe fra i due contraenti del contratto. Non è stato raro vedere negli anni prodotti non all’altezza del costo, oppure una sovraproduzione di testi più o meno tutti simili pronti a cavalcare l’onda. Ma le CE non fanno beneficienza, mettiamocelo in chiaro, ma fanno guadagno, perché sì con la cultura si deve guadagnare e mangiare. Sta a noi, come compratori consapevoli (e lo ripeterò alla nausea) valutare e soppesare cosa stiamo comprando.

Altro punto da affrontare nel valutare il prezzo dei libri è la Legge Levi e le scontistiche. Il sito della Libreria Nuova Avventura lo spiega bene il meccanismo del perché ci si aspettava che con meno sconti i prezzi diminuissero. https://www.librerianuovaavventura.it/2020/02/10/la-nuova-legge-sui-libri-spiegata-bene/

È stato così? Mah…non si è capito bene, perché nel mentre è venuta la pandemia e la filiera del libro è andata in tilt con gravi danni a quasi tutti. L’unica cosa positiva fra un lockdown e l’altro è stata aver riconosciuto che il libro è un bene primario e quindi anche se in zona rossa le librerie possono rimanere aperte. Le biblioteche, non è detto.

Quindi in realtà il libro è sì un bene primario, ma non economico. Come moltissimi altri beni, tipo suonare o seguire la musica, darsi alle arti grafiche, la ricerca storica: il libro non è più importante dello spartito. A supportare i lettori (ma anche musicisti e cinefili, sia chiaro) sono spesso le biblioteche, quando ci sono e quando funzionano e io non mi batterò mai abbastanza perché in prima linea ci siano proprio gli utenti, senza dover mettere l’una contro l’altra biblioteca e libreria: hanno funzioni diverse anche se hanno lo stesso strumento.

Riprendiamo le fila del discorso: i libri hanno meno sconti, dovevano costare di meno e invece 1 o 2 euro all’anno crescono, il libro è un bene di lusso, scandalo e protesta!

Ma siamo davvero davvero sicuri che prima i libri costavano meno e non è solo una fase altalenante dell’economia editoriale?

Ho fatto un giochino prendendo due miei libri: un usato appena comprato e un libro economico che ho in casa da anni. Ho trovato su internet un convertitore economico che calcola anche l’inflazione https://inflationhistory.com/ che permette di capire quanti euro costino ora.

  • “Isole nello spazio” di John W. Campbell, cosmo Oro dell’Editrice Nord, copertina rigida, sovracoperta, testo integrale, introduzione, costo 5000 lire, 554 pagine, 1976. Comprato al mercatino degli usati (non vi dirò dove) a € 5,00, su Amazon e Ibs vale indicativamente fra i 10 e i 16 euro. Sapete quanto vale ora? €22,74. Quanto un Oscarvault medio.
  • “Avversario segreto” di Agatha Christie, Oscar Mondadori, Lire 7000, economico, copertina morbida, prefazione, 191 pagine, 1989. Comprato non so quando da mia mamma, non ho guardato quanto vale negli usati, ma ora varrebbe €7,22. Quanto un economico equivalente.

Questo non è un test valido in modo universale e non credo manco che faccia statistica, ma è solo un modo per capire quanto valgono i libri che abbiamo in casa e capire se a pari qualità c’è molta diversità di prezzo. Forse no, forse sì… ma sicuramente vi farete un’idea se c’è un vero incremento dei prezzi oppure una nostra sensazione. Eppure, dovremmo conoscere il paniere ISTAT (dove non entrano mai i libri) e capire che l’inflazione è un meccanismo naturale delle economie e che ha un andamento variabile e soprattutto colpisce tutti i beni. Quindi è una nostra sensazione o il prezzo dei libri è aumentato diversamente del resto della spesa?

Io lo so che questo lungo post è non scientifico, ma vorrei farvi riflettere su tante cose che se volete le prendiamo uno alla volta.

  1. I libri costano perché ci sono più persone che ci lavorano e che hanno diritto di guadagnarsi la pagnotta
  2. I libri non sono sempre stati alla portata di tutti
  3. Mediamente i lettori sono una minoranza sui non lettori e lo sono ancora
  4. Leggere è economicamente un esborso
  5. Si possono prendere in prestito i libri
  6. I libri possono essere alla portata di tutti
  7. I costi dei libri sono conseguenti all’inflazione e alle condizioni economiche del periodo
  8. L’acquisto compulsivo dei libri non è colpa delle CE
  9. Il lettore-compratore ha sempre un dovere nella filiera.
  10. Si stampano troppi libri non tutti di buona qualità
  11. Il mercato spenna la gallina finché può
  12. Si può essere lettori senza possedere libri
  13. Comprare usato permette di reimmettere sul mercato libri destinati al macero o non ristampati per l’alto costo
  14. La pirateria (che non è il prestito) fa danni su tutta la filiera.

Quanto di quanto letto vi ha messo dubbi e incertezze?

Quanto vi fa pensare al nostro apporto in tutto il meccanismo?

Quanto vi sentite utenti passivi e quanto attivi?

Quanto potete modificare il sistema diventando più consapevoli negli acquisti e nella scelta dei canali di fruizione dei libri?

Se siete arrivati fino a qua, sappiate che vi adoro e non vi ringrazierò mai abbastanza, sperando di poter chiacchierare di questo argomento sui vari canali e cercare di capire come, nel nostro piccolo, possiamo migliorare la faccenda e se è possibile. Io ci provo, ma ne parliamo prossimamente.

Undici mesi di bibliotu al tempo del covid

Di sicuro questo posto non mi attirerà le simpatie di bibliotecari e affini, ma serve a me come sfogo. Quindi se non volete sentir parlar male di casa vostra, saltate il post, non ve ne vorrò, magari ne parleremo davanti a una birra con calma.

Ho iniziato a servirmi delle biblioteche nel lontano decennio 1990 quando alle superiori si facevano le ricerche tematiche di greco o storia o filosofia e internet non esisteva ancora, se non come un suono fastidioso quando scroccavi di nascosto ai tuoi la linea telefonica sperando che non ti scoprissero. Google era un casellario pieno di tagliandini con le schede tecniche che dovevi ricopiarti su un foglio e mostrare al bibliotecario o alla bibliotecaria di turno e poi aspettare che lo andassero a prendere in quelli che immaginavi fossero meandri pieni di fantasmi (chi non ha visto “Ghostbuster” fili a rimediare) o altre amenità strane (tipo scimpanzè senzienti che si arrampicavano senza problemi fra gli scaffali). La vita era bella e spensierata a quei tempi.

Rudolf von Alt – The library – 1881

Poi è arrivata la crisi economica e anche un progressivo ridimensionamento dello spazio vitale dedicato ai libri (no, il letto non si può ricoprire di libri, ci devo dormire comoda) e anche la sensazione che i libri belli fossero sempre più pubblicati in misura minore e sempre più mediocrità. I soldi scarseggiano e la papera non galleggiava. Quindi sono diventata un’utente fissa e appassionata delle biblioteche civiche della mia bella città Parma, al punto che in una mi conoscevano per nome e disquisivano dei miei diversi cappelli.

In quegli anni sì sono stata a volte non precisa, ma i ritardi sono stati intorno alla settimana, ho spesso segnalato io libri che loro avevano persi anni prima, ho dovuto rivoltare casa perché fumetti che loro non avevano sistemato bene risultavano ancora in mio possesso (per poi saltar fuori magicamente mesi dopo). Ma tutte cose che capitano e che sono successe molto raramente, si contano sulla punta di una mano. A tal punto che ricordo che per un libro avevo problemi a restituirlo e mi dissero “tanto non lo legge nessuno, stai tranquilla e riportalo appena riesci”. In 20 anni qualche piccolo inciampo ci sta, credo che sia fisiologico, ma sono sempre stata molto orgogliosa della gestione delle biblioteche e soprattutto per il grande lavoro dei bibliotecari, sempre ben disposti verso gli utenti e anche felici di prestare libri.

Poi mi sono trasferita a Roma e, santa ingenuità mia, mi aspettavo almeno un sistema simile a quello che lasciavo. Non ho fatto subito la tessera, anche perché di libri ne avevo con me e, porcalamiserialadra, avevo scoperto le bancarelle degli usati con un sacco di bei libri di fantascienza a pochi spicci. Preferisco togliermi il cibo di bocca e comprare libri: lo so, morirò povera, magrissima e circondata da cartacei. Vogliatemi bene lo stesso. Ve li lascerò in eredità ben messi.

Con un tempismo meraviglioso faccio la tessera 3 giorni prima del dichiarato lockdown 1.0 . Non me lo aspettavo, nessuno se lo immaginava, eravamo ancora stupidamente ingenui e arrogantemente superficiali da pensare che ci fosse di peggio al mondo. In quel periodo mi hanno salvato i libri che avevo (per fortuna avevo fatto un pit stop a casa a gennaio) e anche gli ebook. Non mi sono mai abbattuta, anche se la situazione era difficile e soprattutto, visto che non ho mai smesso di lavorare, non ho ridotto i ritmi di lettura, mantenendo attive le letture collettive e chiacchiere ovunque. Ed è stato il mio angolo di salvezza mentale.

Nel frattempo, seguendo le pagine fb delle mie amate biblioteche cittadine, vedevo come a Parma in qualche modo cercassero di rimanere vicine ai lettori, incentivando la comunicazione social: sembra una scemata, ma invece in quei momenti serviva a sentirsi meno soli. Poi ritornata una pseudo normalità estiva, qualcosa si riapre, ma verso l’autunno si ritorna, come ben sapete, a una quasi chiusura, mantenendo però le librerie aperte, ma le biblioteche chiuse a mezzo, finché qualcosa si sblocca e almeno il prestito era accettato su appuntamento.

Non mi soffermerò sulla giusta polemica dei famosi e famigerati assembramenti in biblioteche e  musei (luoghi palesemente malfamati e mal frequentati, con resse da rave party clandestini), ma giustamente se per supportare le librerie si è trasformato il libro in un bene di prima necessità (ci è voluta una pandemia per capirlo), non si capiva come mai le biblioteche dovessero rimanere chiuse tenendo lontani gli utenti che magari avevano problemi economici causa pandemia e quindi potevano avere un piccolo conforto in esse. Spiragli, fatiche. E qui inizio a vedere la distanza abissare fra la piccola Parma e la gigantesca Roma.

Parma instituiva per alcune biblioteche e per alcuni utenti (soprattutto anziani e in difficoltà) servizi di consegna e resa a casa con prenotazione online; Roma riapriva con difficoltà le sue sedi e spesso con orari di difficile gestione con chi aveva ricominciato a lavorare giornalmente. Ma ci passi su.

Non ho mai pensato male di nessuno in questo periodo difficile: orari, appuntamenti, telefonate, situazioni scomode se fossimo stati in condizioni normali, bibliotecari e bibliotecarie stanchi e abbattuti. Ho sempre cercato di rispondere con un sorriso e con pazienza: per quanto un libro sia il mio miglior compagno e per quanto ritenga la biblioteca un presidio civile e comunale, ho riserve di lettura che manco quelle di oro in America.

Però…però…

Ho pagato una tessera per un servizio che tendenzialmente in altre parti è gratuito. Qui lo chiamano intermetropolitano, solo perché la città è enorme, ma ovunque è interbibliotecario provinciale, ossia io prendo un libro da una biblioteca x scomoda per me e me lo recapitano in quella a me più comoda. Non è un qualcosa di metafisico, di certo è economicamente rilevante visto che gira un mezzo che porta libri da un posto all’altro, ma mai mi hanno fatto pagare se non per il prestito interbibliotecario regionale che allora lì tocca mettere in mezzo le poste e compagnia danzante, compresa una specie di assicurazione di viaggio. A volte questo tipo di prestito viene scoraggiato, ma spesso se chiedi dei libri per studio e per lavoro…

Continuando a parlare di questo prestito, posso dire che tendenzialmente viene segnalato il giorno in cui i libri partono o arrivano da un posto all’altro, in modo che l’utente sappia più o meno i giorni in cui potranno arrivare, capire le tempistiche e organizzarsi. Qui a Roma…beh…è tutto un po’ aleatorio. Se cerchi sul sito bibliotu non si trovano i giorni di consegna per il PIM, ma anche quando richiedi un libro direttamente non c’è scritto nulla (a Parma il diritto di prelazione è di 5 giorni o al minimo 3, ossia se non fai tempo a vestirti e correre in biblioteca puoi prendertela un po’ con calma e organizzarti. A Roma no. A Roma devi andare subito dopo aver schiacciato il tasto perché “noi non possiamo tenertelo da parte” dicunt. Certo…a Roma dove tutto è velocemente a portata di mano).

Detto questo sotto Halloween prenoto 3 libri con il PIM e aspetto…aspetto…aspetto…e arriva il semi lockdown 2.0 e chiamo. “Ah ma i libri non sono arrivati e quindi niente”. Questa è la risposta alla mia domanda. Non ho aspettato 2 giorni, ma più di una settimana. Ovviamente la consegna non è calcolabile in una settimana. Quindi, pur avendo prenotato per tempo, rimango senza certi libri, ma sospiro, mi rilasso e leggo altro. Quando le biblioteche riaprono sotto Natale posso aver i miei libri.

A Parma quando prendi un libro, ti danno un bel segnalibro con la data di riconsegna e se ci sono libri con diverse riconsegne ti danno un libro per ogni libro diverso. Comodo e chiaro. A Roma ti mettono un post it con una data su un libro. E poi te lo immagini che le date siano diverse. Certo io sono stata superficiale perché avrei dovuto controllare sul sito o sull’app, ma non ho pensato di farlo quindi, una volta tornata a Roma dopo le feste, ho visto che i miei libri erano scaduti con date differenti. Ho chiamato per avere una proroga, che ho scoperto non possibile per il PIM (altro errore mio che non ho controllato bene, rifacendomi al prestito interbibliotecario di Parma che è possibile), quindi mi sono adeguata e il primo giorno utile con la biblioteca ho riconsegnato tutto, mettendo nella busta il tutto e con l’etichetta e nella scatola di cartone del prestito. Quindi sì, vostro onore, ho consegnato i libri in ritardo, ma non volevo, lo giuro, io di solito sono puntale, mi segno le cose prima, leggo prima i libri in prestito e poi i miei, davvero non volevo, non c’erano nemmeno le cavallette!

Da quel momento la follia. Ripeto dal momento in cui riconsegno i libri alla biblioteca di riferimento. Ripeto, libri consegnati.

  1. La app si riempie di messaggi di prestito scaduto, il sito ignora il problema.
  2. Nel sito mi vengono tolti 1000 punti per prestito scaduto non riconsegnato in tempo (questo punto è il più leggero perché mi diverte giocare alle medaglie del lettore sul sito).
  3. La app continua a mandarmi messaggi di prestito scaduto non riconsegnato.

A questo punto chiamo la mia biblioteca e ci impiegano un tempo tot a capire il problema e a risolverlo, perché nel frattempo controllano che i libri risultano riconsegnati come da sito risulta, e alla fine tutto va a buon fine e mi dicono di stare tranquilla e ignorare nel caso.

Ok. Lo faccio.

Provo ingenuamente a prenotare dalla app un fumetto, l’altra sera, in un momento di “noia” e di voglia di leggere qualcosa che non ho evidentemente in casa.

Non è possibile.

Mumble mumble.

Provo a scarugare il tutto e non capisco ma non mi fa prenotare nulla

Stamattina riprovo dal sito e scopro che… NON SONO ABILITATA!

Non sono abilitata???

Ma stiamo scherzando?

Mi ricontrollo tutto il sito per capire se e per quanto tempo fossi stata bloccata per, evidentemente, il ritardo del prestito e NON C’È SCRITTO o se c’è non è scritto chiaramente in modo intuibile. E qui mi arrabbio. Perché non è possibile questo modo di gestire un programma che non è quello della nasa, che è fatto uguale praticamente in tutta Italia, cambiano solo le grafiche (ovviamente qua deve essere tutto rosso e giallo perché se no non funziona) e che più o meno ho usato nella stessa maniera da anni con la sua copia parmigiana. Ovviamente la mia biblioteca di riferimento è chiusa fino a lunedì. Sai mai che possa essere di qualche supporto. Sì sono un po’ arrabbiata

I disservizi sotto covid li comprendo. Tutti. Abbozzo, sorrido e capisco.

I disservizi per altri motivi molto meno.

Soprattutto quando mi impediscono di esercitare un mio diritto che ho anche pagato.

Mi dicono qua che i romani non usano molto le biblioteche e quindi fanno spallucce sui disservizi e la tessera la pagano e la rinnovano per avere sconti su altre utenze (tipo i musei, quando e se riapriranno in modo coerente). E quindi nessuno si lamenta.

Io mi lamento.

Perché i miei 10 euro non sono un regalo a fondo perduto. E aver fatto ritardo non è un reato penale da pagare senza nemmeno una notifica al mio avvocato.

A poi del fatto che ci sono pochi libri nerd o di genere ce parliamo un’altra volta, quando sono riuscita a sbloccare la mia situazione.

AGGIORNAMENTO DEL 8 FEBBRAIO 2021

Stamattina sono riuscita a chiamare la mia biblioteca di riferimento cercando di capire. Perché se ci stava una sospensione del prestito causa ritardo, era mio diritto capire per quanto sarebbe durato e dove avrei potuto vedere la cosa. Ho faticato un po’ a spiegare, perché dare per scontata la sospensione è una cosa, pensare che io debba avere una palla di vetro un’altra: perché per il ritardo ero stata interdetta da tutto il sistema interbibliotecario romano. Wanted. E probabilmente stavano già stampando la mia foto segnaletica e la taglia sotto.

Invece la bibliotecaria, capendo che la faccenda era un po’ oltre e che nemmeno a lei era chiara la durata della sospensione, ha smosso un po’ le acque e mi ha richiamato per avvisarmi che ero stata riabilitata. Deo gratias e un enorme grazie alla mia anonima bibliotecaria. Ovviamente, ho subito prenotato il fumetto che da una settimana cercavo di avere, in modo caparbio. E vediamo di sfruttarla questa tessera (tanto la rinnoverò, perché suppongo che non ci sia proroga causa chiusura…a questa domanda non mi hanno risposto, ma ci riprovo quando andrò a ritirare il fumetto. Devo capire. Purtroppo sono fatta così).

Tutto bene quel che finisce…che posso prendere libri in biblioteca!

E dopo altri 6 mesi anche la fantadistochallenge giunse al termine.

E anche il secondo semestre della fantadistochallenge organizzata da Sonosololibri su instagram è giunta al termine. Come per la prima parte, ho deciso di fare un riassunto delle letture fatte e di lasciare andare un po’ di pensieri. Per saperne un po’ di più sulla challenge vi rimando al primo mio post qui sul blog.

Marzo: “Vita con gli automi” di James White e “I robot dell’alba” di Isaac Asimov

Per questo mese mi sono trovata a voler leggere due libri sullo stesso tema, per il semplice motivo che “Vita con gli automi” era veramente un libello e mi sembrava un po’ di barare. Il tema degli automi è variegato e complesso nella fantascienza, ma credo che non si possa evitare di leggere il padre della robotica che è Asimov.

I due libri sono completamente diversi fra loro. “I robot dell’alba” fanno parte di una trilogia dedicata al detective Elijah Baley e a un androide che lo accompagna R. Daneel Olivaw. Il libro pare una “scusa” per andare oltre al semplice giallo: cosa è un omicidio che riguarda un’androide? Quali sono i rapporti che si possono stabilire fra umani e androidi? E in più parla di sessualità, di rapporti fra gli umani, di espansionismo in ottica galattica (ma poi tutto si può ridurre al nostro piccolo mondo), di tossicità dei rapporti. Insomma la scrittura di Asimov per quanto lineare si presenta con un’importanza che va oltre alle tre “semplici” leggi della Robotica. “Vita con gli automi” (primo dei 3 racconti presenti nel numero urania in mio possesso) è invece un drammatico racconto di evoluzione robotica in un mondo che gli uomini non posseggono più, attraverso l’ibernazione umana per sconfiggere malattie sconosciute.

Gli androidi appaiono quindi una sorta di inconsapevole alter ego incapace di comprendere le mille sfaccettature dell’essere umano e, pur essendo padroni della logica matematica meglio di noi e quindi delle possibili sfaccettature degli eventi, sfugge loro l’imponderabile che è la vita, ossia quel senso di casualità che fa saltare il banco e rende tutta la vita un terno all’otto.

Aprile: “Lo scheletro impossibile” di James P. Hogan

Il tema questo mese era un romanzo “ambientato nel nostro secolo”. Non è stato facile trovarlo, ma alla fine sono capitata nel primo capitolo di una pentalogia e mi sono divertita un sacco.

All’inizio del XXIIesimo secolo un’esplorazione umana scopre sulla luna il cadavere di un astronauta. Niente di strano se non fosse che nessuno ricorda un disastro sulla luna e soprattutto le indagini scientifiche su tuta e cadavere datano il tutto, senza margine di errore, a 50000 anni prima. Ma come è possibile?

Attraverso l’uso calibrato e corretto delle teorie dell’evoluzione e scientifiche del 1977, anno in cui è stato scritto, Hogan parla di evoluzione in modo fantascientifico, strizzando forse l’occhio a tutte le teoria della visitazione aliena (non so quanto negli anni ’70 fossero comuni, ma di certo erano diffusa), alle teorie alternative alla storia. Ammetto che è stato per me un piccolo colpo di fulmine letterario, perché è talmente tutto calibrato e credibile che ti vien quasi voglia di dare ragione a “Voyager” e altri programmi, discutibili, sulla falsa riga, se non fosse che Hogan non lascia mai la barra della scienza e non si lascia andare a voli pindarici astrusi.

Pian pianino cercherò gli altri 4 volumi anche se non so quanto sarà facile (uno l’ho trovato negli urania vecchi usati).

Maggio: “Il gioco degli immortali” di Massimo Mongai.

Il tema prevedeva un romanzo scritto da un italiano e non conoscendo nessuno mi sono fatta consigliare e devo dire che è stato un’interessante scoperta.

Raccontato tutto sul punto di vista del protagonista (di cui non sapremo mai il nome) la vicenda si dipana in un mondo sconosciuto dove egli si risveglia, dopo un incidente in moto. Pedina in un gioco più grande di lui, dove gli effetti collaterali delle vite altrui ricadono su pezzi del pianeta per tempi immaginabili, egli si trova a vivere più vite, a vivere il pazzo gioco della sopravvivenza, a divertire non si sa chi, finché non riesce a spezzare le catene a costi alti.

Provocatorio, più che un romanzo, sembra una bozza ampliata che costringe il lettore a tifare per il protagonista e a seguirne le avventure sperando che alla fine qualcosa succeda. Bellissimi certi personaggi secondari, i quali, se non fosse scomparso prematuramente l’autore Massimo Mongai, sarebbe stato bello leggere le loro vicende.

Giugno: “Fatherland” di Robert Harris

Di questo ho scritto la recensione qui, quindi non mi dilungherò troppo.

Dirò solo che le ucronie sono quasi tutte legate alla seconda guerra mondiale, dove i nazisti non hanno perso anzi, e non so mi lasciano tutte un po’ così. Non che l’argomento sia sbagliato, anzi credo che sia quasi naturale ragionarci su visto che sarebbe davvero bastato un refolo di vento e gli Alleati col cavolo che avrebbero vinto (no non faccio dietrologia, ma le guerre mondiali quando le si studia sono complesse, frutto di errori e intuizioni umane, ma anche piene di casualità che avrebbero cambiato tutte le vicende), ma sono poche quelle “credibili”. “Fatherland” risulta mewh, la trilogia di Farneti “Occidente” finisce in modo ridicolo (con gli alieni di mezzo inutilmente, peccato), “La svastica sul sole” di Dick è una lunga dissertazione anche su altro. Comunque non mi arrendo e se avete titoli da consigliarmi sono qua.

Luglio: “Battle Royale” di Koushun Takami

Altra recensione presente sul blog. Il tema “adolescenti” rischia di essere spesso fraintendibile a livello stilistico. Da ragazzina ho letto “Il signore delle mosche” di Golding e la lettura fu straziante, grazie anche a uno stile strutturato; ora la letteratura per ragazzi ha uno stile che io avrei ritenuto piatto anche a 15 anni. Dipende sempre da cosa cerchi e cosa ti soddisfa.

Però il tema è qualcosa che sconvolge, anche perché molti titoli sono alla fine un banco di prova violento per i proprio protagonisti che, al contrario del fantasy dove sono spesso degli eletti dal destino, qui si trovano a dover affrontare impreparati o quasi prove ben più grandi di loro. Questo romanzo, e il manga annesso (molto meno il film, dicunt), ha nella violenza il suo “baluardo” distorto, costringendo il lettore a leggere storie disturbanti di violenza e perversione, ma anche conflitti morali dei protagonisti. Un bello schiaffo non c’è che dire, ma secondo me spesso fine a se stesso.

Agosto: “Picnic sul ciglio della strada. Stalker” di Arkadi e Boris Strugatzki

Oh ad agosto abbiamo letto i russi! I russi, quelli che sono nipoti di Tolstoj e compagnia ma poi anche no! Quelli che scrivono un po’ come gli pare! Scherzo ovviamente, ma la letteratura russa è davvero quella cortina di ferro che noi europei vediamo da lontano un po’ affascinati e un po’ disturbati.

In questo romanzo sono stata catapultata e spaesata, ma alla fine mi vien da dire “Non avvicinatevi alla Aree 51 (se siete filo americani) o alle Zone ( se siete filo russi) perché gli alieni lasciano roba fastidiosa”. In realtà non bisognerebbe mai fidarsi di quello che lasciano gli alieni, anche se fossero come quelli di “Star Trek” sull’Enterprise.

Bonus: “Un oscuro scrutare” di P. K. Dick

Non potevo non concludere con un altro Dick, ma qui mi ha stravolta. Il libro bonus, che poteva essere letto in qualunque momento e che io mi sono ridotta all’ultimo come mio solito, era dedicato alle droghe. Dick purtroppo ne è un cantore e ne ha scritto o rifiliato in molti suoi romanzi, ma soprattutto la sua vita ha visto dipendenze e riabilitazioni in vari momenti. Questo romanzo però, soprattutto se si sa la sua biografia, è il più umano, quasi una sorta di confessione, dove Fred/Bob Arctor è un poliziotto della narcotici infiltrato che, malgrado tutto, scende la china della tossicodipendenza e autodistruzione, fino ad arrivare alla riabilitazione e lì scoprire altre allucinanti situazioni. Doloroso, umanissimo cammino verso la consapevolezza del potere che le droghe hanno anche quando pensiamo “so come gestirle”. In fondo al romanzo la nota dell’autore finisce con il saluto alle donne e agli uomini veri che non ce l’hanno fatta e sono stati distrutti dalla dipendenza. Un pugno nello stomaco che devo avere, dopo averlo preso in prestito dalla biblioteca.

Che cosa è stata alla fine la fantadistochallenge? Una bellissima occasione di lettura. Una scoperta di un genere a me poco conosciuto; la ricerca di libri fuori dalla massa, anche per i temi più comuni; un modo di riscoprire dei classici o autori passati un po’ in sordina per altri più moderni e conosciuti. Un’avventura che stranamente è andata poco nello spazio, ma molto sulla Terra o sul terreno, e questo aspetto alla fine mi ha un po’ lasciata stupita ma forse è solo frutto di casualità. E’ stato anche la scoperta della profondità del genere, la possibilità di spaziare su argomenti molto complessi e sociali, la disanima spesso sferzante delle nostre nascenti democrazie e sistemi sociali: la fantascienza non è solo pew pew con le astronavi, ma è la visione della complessità delle nostre società passate e future. Bisognerebbe rifletterci meglio su questa cosa.

E in finale del lungo post, un grazie ad Ambra di “Sono solo libri” per averci proposto questa avventura, guidandoci, lasciandoci navigare per lo spazio da soli, chiacchierando e lasciandosi coinvolgere. Alla prossima challenge!

“I tre moschettieri” di Alexandre Dumas

Prima di tutto sia chiaro, mettiamocelo in mentre, i moschettieri da noi tanto amati sono: scrocconi, bugiardi, smargiassi, polemici e parassiti. Sì, l’ho detto. Mi sono cavata il pensiero.

Riprendendo il titolo del post, in realtà sarebbe più corretto dire “I tre moschettieri” di Dumas e Auguste Maquet. Eh sì…l’opera (e non solo questa) è frutto di un lavoro di quattro mani dove i due autori mischiarono passioni e professionalità portando al lettore un romanzo a puntate buono per appassionarlo, ma che alla fine è diventato un classico a tutti gli effetti. Poi a livello umano il loro rapporto non fu idilliaco, anzi Maquet portò addirittura Dumas in tribunale, ma noi ci soffermeremo su quello che hanno creato.

“I tre moschettieri” (d’ora in poi I3M nel post) sono un classico della letteratura d’avventura, tendenzialmente relegata a quella per ragazzi come se gli adulti non sentissero mai l’esigenza di evadere dalla propria esistenza e lasciarsi andare alle cose più folli. Vabbè. Comunque non starò qua a raccontarvi la trama che, malgrado qualche evidente cambiamento nelle versioni cinematografiche, è da tutti conosciuti. Dirò solo che mi aspettavo altro. Sarà appunto che leggere da grandi certe cose le vedi con occhi diversi, sarà che forse quando la vita ti mette di fronte a certi personaggi ritrovarseli fighi su carta ti fa un effetto strano, ma all’inizio ho fatto fatica a farmi piacere i nostri eroi. Tranne 2, ma lo capirete. E la sensazione di straniamento dagli amati film scanzonati al libro più complesso, ha colpito anche le mie compagne di letture del gruppo “Lettura collettive folli e sgangerate” in cui è rientrata questa lettura (da aprile ad agosto 2020).

D’Artagnan pecca in giovinezza ed è irruento e maleducato, borioso e scapestrato; su carta ci piace un casino e forse vorremmo essere come lui, ma se fosse un nostro amico lo prenderemmo a coppini in testa. Però senza di lui non ci sarebbe la storia, se non ci fossero le sue sbandate amorose (eh già più di una) non seguiremmo certe avventure, se non fosse un attaccabrighe come conosceremmo i soldati del Cardinale? E’ sicuramente il perno di tutto. Maquet aveva in mente di scrivere la biografia del vero D’Artagnan, ossia Charles de Batz de Castelmore d’Artagnan che entrò nei moschettieri nel 1644, grazie all’amico di famiglia de Treville (!) e divenne, dopo una vita movimentata e militarmente varia, nel 1673 comandante dei Moschettieri grigi e poi morire con onore. E il nostro I3M ne romanza la gioventù facendolo crescere attraverso le difficoltà, lo scontro col Male e il destreggiarsi nella politica, arrivando a essere il soldato che tutti noi ricordiamo.

Porthos e Aramis sono forse le facce della stessa medaglia: uno grande grosso, smargiasso, opportunista e beone, l’altro elegante, pacato e dedito alla religione, ma con una macchia nera nel suo passato. Non si scontrano mai fra loro, si compensano in realtà, ma se non fosse per la stima reciproca non avrebbero potuto nemmeno sedersi allo stesso tavolo, tanto le loro visioni della vita sono diametralmente opposte. Eppure il compensare se stessi e vedersi negli occhi degli altri, impone a questi due moschettieri il cedere dal proprio “piedistallo” di sicurezza. Si compensano, ma non si modificano con un equilibrio particolarissimo.

Athos. E’ il dramma. Secondo me è l’anima di uno dei due autori (non capisco se Dumas o Maquet, forse il primo), riscontrabile anche nel personaggio di Edmond Dantes, nel Conte di Montecristo. La sua storia è la più complessa e si sviscera lentamente nelle pagine, soprattutto nella seconda parte, gestendo la vicenda più degli altri personaggi, arrivando fino al suo apice come un Vendicatore in carne e ossa. Non vacilla mai apparentemente, non lascia andare nessuno, non cede, ma annega probabilmente il dolore nel vino. Athos ha un problema più degli altri suoi compagni (Aramis si nasconde nella sua visione della religione, Porthos nell’apparire) e non vorremmo mai dirlo, perché sinceramente non fa…eppure…Quello che a noi fa ridere leggendo (dove e come lo troviamo prigioniero quando i 4 se ne vanno in Inghilterra a salvare l’onore della Regina?), fosse reale ci farebbe preoccupare. Eppure non lo si può non amare, perché è forse l’unico che i suoi demoni li affronta senza mai cedere. Impagabile.

De Treville. Ma senza di lui dove andrebbero i moschettieri, tutti, ma in special modo 3 + 1? A ramengo! Immenso, mamma chioccia, politico fine e diplomatico di esperienza, giostra fra il Re e il Cardinale senza mai toccare la Francia a cui ha giurato fedeltà, sembra che si faccia abbindolare da “quei 4”, ma sa benissimo di avere fra le mani materiale di prima classe da lasciar fare. Immenso anche se sparisce nella seconda parte.

Il Cardinale Richelieu. Lascio volutamente da parte Re e Regina Anna perché alla fine sono comprimari attorno a cui tutti girano, ma non smuovono la vicenda. Ma il Cardinale…spiace dire che del personaggio storico ha solo l’apparenza con un atteggiamente quasi bipolare nella vicenda. Il suo odio per la Regina non parte da un discorso politico filo francese, ma è il frutto di un uomo rifiutato: rancore e maschilismo, piccino. Anna viene infangata o almeno si tenta di farlo non perché austriaca, ma perché donna che ha detto di no, mentre altre hanno detto sì, e quindi deve pagare nel peggiore dei modi e non importa se ricopre un ruolo importante nello Stato. Poi per quanto non sopporti i moschettieri, in realtà li invidia tutti, per efficienza, coraggio, spirito di corpo, fedeltà (secondo me invidia de Treville in modo assurdo perché egli, non il Re, ne è l’anima più profonda e costruttiva) e cosa vorrebbe lo si capisce benissimo dopo l’assedio de La Rochelle. A guardarci bene non è lui il cattivo della vicenda.

Milady. De Winter o de La Fère poco importa. E’ lei la villain del romanzo. Lei è il Male incarnato nella sua pelle più seducente. Se apparentemente sembra la lunga mano del Cardinale, in realtà lei si muove e usufruisce del potere datole per ferire, uccidere, distruggere l’altro senza rimorso, anzi con piacere. Se nella prima parte del romanzo passa per una figura di contorno, nella seconda giganteggia e i capitoli a lei dedicati sono di una potenza drammatica impressionante, dove la perversa arte della seduzione si palesa chiaramente. Povero Felton… Di fronte, però, a due uomini feriti anch’ella soccombe, ma rimane un personaggio negativo da riscoprire a cui, secondo me, i film non hanno mai dato il giusto peso. Quello che la differenzia dal Cardinale è che quest’ultimo si muove per potere e politica, mentre lei per solo gusto personale di soddisfazione del proprio ego.

Di spalla, ma a volte fondamentali, i 4 servitori dei moschettieri i quali sono in realtà la lunga mano, nata dallo stesso braccio, dei loro padroni, in molto simili o supplementari per carattere e aspirazione, sono sicuramente usati dagli autori per arrivare dove avrebbe poco senso arrivassero o risolvessero i nostri eroi. Ma quante volte Planchet ha salvato la vita a D’Artagnan! Una stata a lui e a Bazin, Grimaud e Mousqueton.

Voto: 7/8 difficile dare di meno, anche se in certi punti cade il ritmo e le avventure de I3M sono di una ripetitività noiosa, ma da La Rochelle in poi…fuochi d’artificio.

Consigliato: A TUTTI! E scritto in maiuscolo! Ma vogliamo scherzare? Questo libro va letto per l’evasione, per il dramma, per l’avventura, per l’amore clandestino ma che è sempre con la A maiuscola, per le sbronze e le cene a sbafo, per quel senso di amicizia profonda e spericolata che tutti dovremmo avere dove i caratteri si equilibrano per dare il meglio in ogni circostanza, per il sorriso che lascia.

Consigli per la visione: La cinematografia su questo romanzo parte addirittura nel 1909 con un film di Mario Caserini per arrivare a un altro italiano nel 2018 ossia Giovanni Veronesi (che non ho ancora visto). I miei personalissimi consigli sono (vi segnerò solo l’attore che fa D’Artagnan):

“Tutti per uno.

Uno per tutti.”

Scheda Tecnica

Titolo originale “Les Trois Mousquetaires”

anno 1844

traduttore Antonio Beltramelli

edito oscar mondadori

stampato nel 2009 presso Mondadori Printing S.p.A. , Stabilimento NSM-Cles (TN). Printed in Italy

introduzione Pierre Tranouez

con uno scritto di André Maurois

art director Giacomo Callo

copertina “La presa di Gand” dettaglio, di Joseph Parrocel, Parigi “Musée de l’Armée”; foto Perre Merat

pagine 689

prezzo € 11,00

“Battle Royale” di Koushun Takami

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tutta la serie manga (15 volumi) e il libro.
TRAMA: Siamo nel 1997 nella Repubblica della Grande Asia dell’Est e una scolaresca di terza media (?) in gita si trova coinvolta nel cosidetto “Programma” ossia un violento gioco al massacro dove dovrà restare solo uno di loro vivo. Il tutto si svolgerà in un’isola deserta e più o meno in 48 ore. Ovviamente ci saranno vantaggi e svantaggi e difficoltà lungo il percorso, ma il risultato sarà sempre lo stesso. Oppure no?

 

Ho letto in contemporanea sia il libro che il manga (il cui disegnatore è Masayuki Taguchi) ovviamente leggendo prima il romanzo e poi seguendo la realizzazione sul fumetto.

Violento distopico in cui i protagonisti sono degli adolescenti (in traduzione viene detto che hanno 15 anni e purtroppo si è scelto di dire che sono di “terza media” quando è evidente che i sistemi scolastici nostri e giapponesi sono diversi) costretti a lottare per la propria sopravvivenza uccidendo chi fino a un momento prima era il proprio compagno di banco. Un tentativo di sviscerare le varie psicologie dei vari ragazzi che risultano più evidenti e disturbanti nella versione manga piuttosto che in quella del libro, denotano solo che la maggioranza dei 42 ragazzi sono dei sociopatici, vittime di violenze altrui, hanno disturbi comportamentali e solo 2 o 3 risultano quasi sani di mente o almeno equilibrati. Si salva ovviamente una sola coppia, come tutti i bravi romanzi che si rispettano, Shuya Nanahara e Nakagama Noriko, belli carini sani, con l’istinto degli eroi senza macchia e senza paura che vogliono salvare tutti. Senza però l’aiuto di Kawada Shogo faranno ben poco. Eppure anche loro nella loro perfetta bontà, molto infantile, risultano stucchevoli e stereotipati. Shogo in effetti è forse uno dei pochi personaggi più complessi e sfaccettati dei 42.

Di certo quando nel 1999 uscì, fece scalpore rivelando la violenza che poteva generarsi fra ragazzi di quella età (anche se la produzione manga del Giappone non è scevra di personaggi giovani e disadattati che oscillano fra bene e male), costretti alla lotta da un gioco perverso voluto dagli adulti, per loro divertimento. Qualcuno lo ha paragonato a “Il signore delle mosche” di Golding, ma non ha il valore antropologico di quest ultimo: “Battle Royale” è una lotta obbligata che deve finire in breve tempo, “Il Signore delle Mosche” invece è la costruzione della civiltà da un disastro per sopravvivere. I presupposti sono molto diversi e anche lo sviluppo degli eventi, (nel libro di Golding abbiamo la nascita del concetto della comunità contro l’anarchia, il bisogno di sopravvivere cercando di costruire e rispettare le leggi), diventa una condizione sine qua non per l’agire dei ragazzini che devono prendere delle scelte velocemente.  Viene giustamente paragonato, in quanto antesignano, degli “Hungers game” e qui ci trovo qualche somiglianza maggiore: una società dittatoriale che sovrasta la vita di tutti, un uso delle persone per scopi puramente di divertimento o di controllo della popolazione attraverso la paura, l’eroe che sovverte il regolamento per ristabilire il giusto equilibrio fra bene e male; in più c’è la contrapposizione fra una società adulta violenta e prevaricatrice e una generazione “passiva” di giovani succubi o desiderosi di riscatto.

Voto: 6. Ammetto che fra manga e libro ho “preferito” il primo, perché almeno la componente violenta era più esplicita e disturbante, mentre il secondo narra le vicende con lentezza esasperante come se fosse un’indagine da medico legale. Comunque non mi ha colpito, anzi mi ha annoiato per molti versi. Non amo la violenza per la violenza, l’esasperazione della stessa per puro scopo ludico letterario; non dico che debba per forza essere propedeutica a qualcosa nella vicenda, ma la morbosità in cui, nel manga soprattutto, si usano scene violente e di sesso sono stucchevoli. Eppure se “Battle Royale” deve colpire il lettore, provocarlo e forse anche irretirlo, questo succede maggiormente nel manga piu che nel romanzo.

Consigliato a: lettori di distopici di dittature e prevaricazione.

Scheda tecnica

Titolo originale “Battle royale”

traduttore Tito Faraci

anno di pubblicazione 1999

casa editrice Oscar Fantastica Mondadori

stampato 2016, Printed in Italy c/o ELCOGRAF S.p.A- Cles (TN)

copertina illustrazione di Marcello Martinez/Laboratori secreto

progetto grafico di Leftloft

pagine 615

prezzo €15,00

“Fatherland” di Robert Harris

IMG_20200624_154825_330[1]Trama: Nella Germania nazista del 1964 l’agente della Kripo, Xavier March, si trova a indagare sulla morte di un gerarca nazista. Non si tratta di suicidio come vorrebbero archiviare le autorità, ma man a mano che March indaga viene a scoprire un intrigo ben più grosso che coinvolge le massime autorità del regime sin dagli anni ’40 quando si pianificò la soluzione finale. Tutto precipita quando interviene la Gestapo e March, aiutato dalla giornalista tedesco-americana Charlotte Maguire, dovrà agire velocemente.

L’ucronia racconta un mondo dove in Europa vige direttamente o indirettamente il potere nazista (sul trono inglese siede Edoardo VIII, mentre Elisabetta in Canada ne rivendica il trono chiamando lo zio traditore. Tanto per dirne una); dove il Führer è un’entita semi divina che protegge idealmente tutti i suoi “credenti”. La vita scorre tranquilla, quasi ovattata da questa campana di vetro costruita e ben mantenuta da tutti i dirigenti di partito e i vari gerarchi (che pur facendosi la guerra politica, collaborano più di quanto sia successo veramente). Dall’altra parte America, guidata da un anziano Joseph P. Kennedy presidente (sì il padre di JFK), dopo una forte e sostenuta alleanza con la Russia decide di tendere la mano alla Germania.

Robert Harris scrive un romanzo ben documentato, usando personaggi realmente esistiti, modificando alcuni eventi veramente accaduti e costruisce un’Europa credibile, senza esagerare con invenzioni e costruizioni. Il suo intento sembra quasi di voler raccontare una crepa piuttosto che divertirsi a ideare una nuova storia. Detto questo credo che per me abbia un solo difetto: la sensazione che tutto sia troppo inglese per una storia ambientata a Berlino. Non discuto che sia credibile il seme del dubbio all’interno della dittatura, ma Xavier March ragiona troppo come un soldato alleato di fronte ai campi di sterminio: documentare, denunciare. Non c’è mai davvero una crisi esistenziale (ok è un agente non allineato e per questo controllato dalla Gestapo). Egli dovrebbe essere nato intorno agli anni ’20 e quindi in questo mondo ha visto nascere, crescere e prosperare, oltre a vincere la guerra, un partito, un’ideologia che ha plasmato il mondo; deve aver fatto le scuole di partito, aver subito una sorta di lavaggio del cervello in qualche modo; ha perso il padre giovane; ha servito la patria negli Uboat; insomma ha fatto tutto quello che ci si aspetta. Eppure è e rimane un personaggio su cui la Gestapo deve indagare, la moglia lo lascia e il figlio non lo ritiene abbastanza allineato e ne è sconvolto (Pili è l’unico personaggio veramente nazista della vicenda, il prodotto di decenni di indottrinamento). Sì ci sono i gerarchi cattivi e spietati, ma un po’ ce li si aspetta, se non avremmo nessuno contro cui tifare. Anche la giornalista per metà tedesca Charlotte Maguire non si capisce come faccia a vivere quasi tranquilla in una città come Berlino, nella quale ci si aspetta a ogni angolo spie e delatori.

Alla fine del libro l’autore ha messo una breve (nella mia edizione, non so se esistano altre più ampie) sui personaggi realmente esistiti e sui documenti citati. Non metto in dubbio la documentazione, anzi credo che quella sia la colonna portante del libro che mai lo fa scadere nel ridicolo o nell’impossibile.

Voto: 6 Non posso dire che non sia scritto bene o che non racconti in modo credibile un mondo che non è esistito (per fortuna), ma con la scusa dell’ucronia scrive un giallo e con la scusa del giallo scrive una storia che non esiste, quindi mi risulta un po’ carne e un po’ pesce e “non sa di pera”.

Consigliato: a chi ama le storie sulla Germania, sui gialli politici.

Nota: da questo film è stato tratto un film “Delitto di stato” (1994) diretto da Christopher Menaul, con Rutger Hauer e Miranda Richardson molto diverso nella trama dal libro. I commenti sono generalmente negativi.