Parlare di libri sui social è una battaglia persa?

Salve, mi ritrovate qua a sproloquiare, perché in fin dei conti non ho voglia nè di fare un’infiità di storie su instagram, nè farci un IGTV, nè aprire un profilo youtube. Io scrivo, a volte, per rimettere in fila i pensieri. Ovviamente dico la mia dopo l’ennesima e inutile polemica sui social contro i social per i social (in matematica quanto fa per per per per qualcosa? E’ una potenza? Mah). Quindi mettiamo in fila i pensieri e partiamo coi bei punti di un elenco.

  1. Rivoluzionare il concetto di social

I social sono nati per riallacciare i contatti con le persone perse per strada (che se poi le hai perse ci sarà un motivo no?), farsi i fatti degli altri, farsi fare i fatti propri dagli altri, vomitare il proprio disagio sugli altri. Eppure eppure…i social sono un banale mezzo, come l’automobile o una matita. La differenza sta in chi lo usa. Ecco perché un’automobile è un ottimo strumento per viaggiare in mano a una persona attenta, mentre a uno scriteriato è anche uno strumento di morte; la matita serve a disegnare, ma anche a denigrare. Chi la usa, modifica lo strumento. Quindi dobbiamo continuare a usare i social in modo disturbante e disturbato? No, ma dobbiamo solo averne la cosapevolezza.

Non esistono corsi di social o almeno non che io lo sappia. Noi usiamo i social, l’automobile e la matita per quello che siamo noi e di conseguenze nel bene e nel male ci mettiamo quello che siamo noi. A volte è qualcosa che arricchisce la comunità che ci gira attorno. A volte no. Per niente.

Ci vorrebbe quindi un corso per imparare a usare i social? Diciamo che sarebbe bello che nel rientro dell’educazione civica nelle scuole si mettesse anche l’uso di internet (e magari succede non so), ma soprattutto si dicesse che dei social non bisogna averne paura, che non sono il male. Se una parte degli adulti non li demonizzasse, i giovani non sarebbero così attratti al lato oscuro dei social (che li mangia e impedisce loro non solo di esprimersi liberamente, ma anche di formarsi una coscienza. Questo è un discorso ampio). Nel momento in cui iniziamo a comprendere le potenzialità del mezzo e iniziamo a sfruttarle per il costruire piuttosto che distruggere, allora i social sono un validissimo strumento. Guardate tutte le serie pagine di divulgazione scientifica che ci sono su internet che lottano (è giusto usare questo verbo) contro le bufale e la disinformazione.

2. Essere noi stessi

Come detto sopra, noi usiamo i social per come siamo e quindi è nello stesso tempo un bene e un male per il semplice motivo che noi siamo individui che per carattere possono costruire o distruggere, essere o meno capaci di divulgare o anche solo di comunicare. La nostra individualità è comunque un bene prezioso, ma esercitarla e alimentarla senza farla diventare un egoistico ioioioio continuo è un compito arduo che secondo me, a volte, dovrebbe avvalersi di un aiuto di un terapista. Ecco l’ho detto.

Detto questo entrando nello specifico, la nostra individualità come lettori è comunque un valore aggiunto anche se in molti non sono in grado di spingersi oltre al “mi è piaciuto/non mi è piaciuto”. Quindi come detto sopra, quello che siamo fuori dall’internet lo siamo anche dentro.

Quante persone conoscete che non sanno articolare un pensiero proprio, originale, costruttivo, senza ripetere magari a memoria quello sentito dire alla tv o dal barbiere o letto nel giornale xyz? Ecco, lo stesso numero si trova anche nei social. Siamo sempre quello che siamo noi. Sempre. Non si scampa. Gli analfabeti funzionali, il matto del paese, il leone da tastiera non sono invenzioni degli ultimi 20 anni, ma ci sono sempre stati, solo che ora hanno una piazza immensa nel quale urlare le proprie idee. A fianco del divulgatore, dell’originale, della comunicatrice scientifica. Purtroppo i social amplificano le voci negative più che quelle positive.

Entrando nello specifico, fra le vostre conoscenze di lettori e lettrici quanti ritenente veramente originali e fuori dal coro, competenti e stimolanti? La percentuale, mica i nomi. Per quel che mi riguarda sono la minoranza. Molti leggono senza farsi una domanda, un perché, seguono la corrente, si fidano dei giornali, comprano libri che non piacciono solo perché la pubblicità li ha convinti che “devono” leggerli e via discorrendo.

Quindi la vita social amplifica solo quella vera, dando voce e spazio.

Per quello che mi riguarda amplifica la noia…maaaa questo è altro discorso.

3. I social devono essere settari, come le caste sociali?

Ma anche no!

Proprio perché abbiamo una costituzione che difende il diritto di parola e “purtroppo” nelle democrazie esiste il paradosso della tolleranza, ognuno di noi ha il diritto di leggere quello che vuole, dire che è bello bellissimo, non aggiungere alcunché e passare ad altro.

I social dovrebbero però capire in quale modo premiare il merito. Purtroppo non lo abbiamo capito nella vita vera, quindi che straparlo a fare?

Diamo pure per scontato che sia possibile premiare il merito e quindi puntare su una sorta di meritocrazia anche se basata sui followers piuttosto che sugli articoli scritti su prestigiose riviste, tutti hanno diritto di dire la propria sul libro letto. Punto. Su questo non si scappa.

La polemica è nata proprio per questo motivo ed è un po’ una polemica elitaria e qualunquista. Elitaria perché presuppone che gli l’ha scatenata possa permettersi dall’alto del suo giudizio (insindacabile?) di giudicare gli altri. Qualunquista perché mi verrebbe da dire “ma va? veramente vogliamo più qualità e meritocrazia? Ah non ce ne eravamo mai accorti!”

4. I social creano davvero confronto? Sono utili ai libri?

No, i social sono un mezzo disarmonico e con una comunicazione diseguale. Da una parte c’è uno che dice la sua, dall’altra il resto del mondo che applaude o contesta. Non c’è una vera interazione come se fossimo in un gruppo di lettura vero e ci mettessimo davanti a una birra a dire la propria su quello o l’altro libro. C’è un io che parla e tanti tu che ascoltano e che a volte si trasformano in interlocutori, mai purtroppo sullo stesso piano comunicativo. Ovviamente sui social di bookqualcosa si possono creare amicizie, relazioni, collaborazioni e riuscire a dare qualcosa in più, ma per come è fatto c’è un uno dalla parte dello schermo e tanti altri dall’altra parte, spesso anonimi e silenti che seguono e/o si fanno influenzare.

In più c’è un meccanismo perverso nato qualche anno fa: la collaborazione gratuita (e non) con le case editrici. Ci sono bookqualcosa che sanno fare il loro mestiere e portano una professionalità sostituendo i giornalisti critici letterari e ci sono bookqualcosa che sbavano per avere libri gratis, fare gli unboxing, far credere di essere nel giro giusto e poi manco leggere i libri, rivenderli al Libraccio e fare felice un altro lettore (con o senza profilo instagram) che si può comprare la novità a metà prezzo. E’ inutile che ci nascondiamo dietro a un dito: non sempre esiste la meritocrazia, ma alle ce basta avere visibilità a poco prezzo (relativo…ma evidentemente costa di meno spedire x copie di libri a x+1 bookqualcosa che pagare le pagine dei giornali, delle riviste di settore e tanto altro. Se no, non si spiega). Questo circuito perverso di collaborazioni tutte uguali crea il malcontento e anche un bulimico bisogno di avere, dimostrare, esserci e postare, indipendentemente dalla qualità.

In fin dei conti come è il detto?

Nel bene o nel male, purché se ne parli.

Eppure i social hanno dimostrato che delle piccole e combattive comunità di lettori possono richiedere a gran voce che una certa edizione venga ripubblicata, che un libro venga rimesso sul mercato, che ci siano nuove traduzioni, che una piccola ce possa essere conosciuta sempre più. In realtà i lettori sui social sono una risorsa fortissima. Perché non è più un concetto di come se ne parla, ma è il concetto che il lettore tendenzialmente compra, chiede, consiglia molto più velocemente che il giornalista su una rivista. Quello che un tempo era il passaparola nella piazza, di solito un pettegolezzo che rovinava una persona, ora è un piccolo vortice che porta un libro dall’angolo ombroso di una libreria alla luce più luminosa di una manifestazione.

Certo il meglio sarebbe affiancare la vita online con una vera, magari creando modalità d’incontro più paritarie come i vecchi e cari gruppi di lettura (anche se poi c’è sempre un coordinatore che se è madre/padre indissussa/o è un casino e va tutto a scatafascio indipendemente dalle persone. Provato sulla mia pelle).

Un tempo pensavo che avessero diritto di esistere solo alcuni libri e autori e che la cosidetta “lettura spazzatura” (i famosi 3 metri e qualcosa sopra altro e in fila per due col resto di altro) non avessero diritto di cittadinanza. Ma mi sbagliavo. Eccome!

LEGGERE E’ UN DIRITTO.

Leggere arrichisce, svaga, fa pensare, fa sognare. Soprattutto, fa sognare.

E chi siamo noi per giudicare la famosissima casalinga di Voghera (che avrebbe diritto di una statua in bronzo quasi come il Milite Ignoto) se invece che leggere il solito libro pakistano che parla del bambino che ha perso l’unica sua pecora che gli dava sostentamento e compagnia, vuole leggersi un Harmony? Oppure se il meno famoso astronauta di Pontremoli invece che leggersi tutto il giorno manuali di astrofisica, si dedicasse alla lettura di un ya con licantropi fuffosi e vampiri sbriluccicosi? Noi non siamo nessuno e dovremmo piantarla di puntare il dito. Lasciate che la gente legga quello che vuole, come vuole, quando vuole e dica quel che pensa a suo modo.

L’unica cosa che dobbiamo riflettere su questa ennesima polemica sull’internet di libri è che quando decidiamo di seguire qualcuno, lo dobbiamo fare perché ci arricchisce, ci spinge a spostare il nostro limite, ci pone domande, di fa rilassare e costruisce una comunità positiva e stimolante. Indipendemente dal genere che si legga. Che si costruisca una rete sana, che dia sostegno alle biblioteche e alle librerie, alle case editrici piccole o grandi, che promuova il Bello più che il nulla. Essere lettori consapevoli lo dico sempre, è l’unica differenza che possiamo avere.

2. Essere noi stessi

Lettura collettiva su fb con “Dust & Decay” di J. Maberry

Perché parlare qui di una cosa che faccio su fb? Semplice! La follia ha unito due persone che prima si conoscevano solo su anobii, e anche un po’ sporadicamente, poi si sono conosciute via fb, poi personalmente e poi entrambe hanno aperto un blog di lettura (prima lei, poi io) e ci siamo rese conto che è divertente condividere questa nostra follia. Essa non è altro che dare un’altra funzione a fb, noto social network guardone, e fargli scoprire la lettura.

Tutto è iniziato per me con “Rot&Ruin” di Maberry. Diciamo che mi sono bellamente infilata nella consuetudine di Ross di condividere la sua lettura con amici vari. La cosa è piaciuta a entrambe che abbiamo sperimentato vari sistemi e modi di promuovere la cosa, coinvolgendo più persone. La lettura collettiva di “Il nostro comune amico” nasce dall’unione di tre teste folli alla fine…

Quindi quando è uscito il secondo capitolo della saga zombie di Maberry non ci siamo tirate indietro. Non si poteva! Un po’ è come festeggiare un anniversario (“Buon non compleanno a te” “A te!”).

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A dopo la recensione, ma qui ci sono i link se volete seguirci, visto che sarà fatto il tutto (commenti, chiacchiere, risate che non c’entrano nulla, soprattutto se poi si inserisce la terza svalvolata…) sia sulla bacheca del mio blog L’amaca di Euterpe che sulla bacheca del suo blog La libreria pericolante. Altro esperimento per coinvolgere sempre più persone non tanto alla nostra vita, ma alla lettura. E forse, per me molto importante, per far comprendere che anche la lettura può essere un fenomeno sociale, anche se spesso solitario.

Nel mentre noi partiamo vi consiglio vivamente di andare a visitare il suo blog La libreria pericolante, perché vi troverete passione e divertimento e, soprattutto, non troverete una critica parolaia, ma una lettrice che ama i libri, la Storia, la lettura, la vita con fare spassionato e diretto: Ross riesce davvero a farvi capire quanto visceralmente ama quello di cui sta scrivendo. Non perdetela!