Buon Compleanno Giuseppe Verdi!

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Verdi è per chi come me è parmigiana (non parmense. Io sono nata in città e non in provincia!) uno di casa, uno di cui ci si bulla di essere “pappa e ciccia”. Peccato che nella verità storica questo non fosse vero e che se non fosse andato a Milano non sarebbe quello che è. Vabbè, poco importa, Verdi è Verdi ed è anche un po’ nostro.

Lascio volutamente fuori da questo post le eventuali polemiche sulla casa natale di Roncole in restauro ora (prima no?) nell’anno del centenario e il fatto che il suo palazzo a Busseto sia in vendita (a chi poi non si sa e per farci cosa poi? Ma va tutto bene!). Lascio fuori la polemica e vi racconto quale siano le emozioni di andare ad assistere Verdi, alle prove della prima, nel teatro Regio e nel teatro Farnese.

Sono cresciuta con la musica classica in casa, riconosco le opere, ma nessuno di noi in famiglia ha mai studiato musica. La musica si canta (fino a perforarti le orecchie se è mia mamma che canta, visto che è un mezzo soprano naturale…se avesse studiato, addio bicchieri!) o si ascolta (mio padre è stonato come una campana), chiusi in camera (io e mio fratello) o in salotto così sente tutto il palazzo. La musica è stato un bell’accompagnamento della nostra vita, in tutte le sue divergenze e divagazioni, a volte litigando perché vari stereo andavano e c’era un po’ di cacofonia (e a qualcuno toccava per forza spegnere o mettere le cuffie).

Di Verdi c’erano i dischi 33 giri…che ricordi.

Era un rito voler ascoltarli. Si toglieva il panno, si tirava su il coperchio in plastica trasparente, si accendeva lo stereo; con le mani pulite si tirava fuori il disco e lo si metteva nel piatto; si guardava che non ci fosse polvere e nel caso si puliva con l’apposita spazzola morbida; e poi si appoggiava la puntina. E il suono prima gracchiava, poi c’era il silenzio e poi l’audio. Era la musica.

Poi si cresce, la tecnologia cambia e i cd per quanto perfetti, sono come gli androidi dei film: freddi. E si è perso il rito.

Andare al Regio di Parma per ascoltare un’opera è praticamente impossibile. Da un lato i costi delle poltrone sono per me proibitivi, dall’altro il Loggione (temutissimo dai cantanti!) è una enclave inaffrontabile e se sei come me, una novellina con gli occhi sognanti che di musica non ne sa nulla, beh…impossibile entrarci. In realtà non voglio diventare una melomane, non voglio sapere ogni cosa, ma voglio solo godermi l’opera, la musica, l’atmosfera. Punto. Molto ingenuamente.

L’anno scorso ho avuto la possibilità di assistere alle prove generali delle prime del Festival Verdi (che è proprio in scena in questo periodo. Devo ricordarmi di vedere se Tv Parma fa vedere ancora le opere), grazie ai biglietti trovati da alcuni parrocchiani. E mi sono goduta il “Falstaff” come non mai, nella stupenda cornice del Teatro Farnese. Mentre a Gennaio (non ricordo più a che occasione riguarda, ma sempre nella stessa modalità) ero andata a vedere l'”Aida” al Regio.

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L'”Aida” al teatro Regio

Che bella emozione!

Sentire un racconto, vederne la forza nelle immagini, nei costumi, nel suono. E capire il senso della potenza dell’opera sull’uomo quando la televisione non era nemmeno nei sogni delle persone.

Questo trasmette l’opera. Il racconto diventa forma, musica, persona. Quello che per noi è scontato accendendo la tv, per i nostri nonni era una conquista. Quello che per noi è facile (anche perché di decodifiche, quando guardiamo la tv o lo schermo del cinema, ce ne sono veramente poche, visto che è tutto a portata di mente. Forse…oppure è tutto a non usare la mente…), per i nostri nonni era un’evasione e un continuo imparare e condividere.

Dalle mie parti non è cosa rara che fosse nella Bassa, nella provincia contadina e montanara, ci fossero persone che a mala pena avevano fatto la 5 elementare, ma poi erano dei veri esperti di opera e operetta. Attraverso la musica c’era il riscatto delle difficoltà della vita.

Se si legge la storia di Verdi tutto ciò si intuisce e se anche Parma non l’ha capito nel momento in cui doveva aiutarlo, egli era un parmense in tutto il nostro modo di essere. Egli è qualcuno di noi, ma non lo è, avendo avuto istruzione, fortuna, forza in quel di Milano, a confronto con la Storia e la Cultura. Mi piace immaginarlo girare per la nebbia di Milano, con la musica in testa a ogni ora (come una magnifica compagna) con il tabarro che si usa anche da noi e magari a ripensare a quando nella nebbia della Bassa Parmense andava, da bambino, nella chiesa a suonare. Mi piace immaginare che ancora qualcosa di noi gli fosse rimasto impresso nell’anima e che l’avesse portato in giro per il mondo (anche se magari non la parlata e non la freddezza snob che abbiamo ogni tanto). Forse sono solo pensieri di una parmigiana che come tutti i suoi concittadini, pensa che Verdi le appartenga, anche se non è vero per niente.

E anzi Verdi appartiene e tutti, in quel suo W V.E.R.D.I. che tanto ci animò nella ricerca di libertà.

Ci vediamo a Roncole.

Buon compleanno Verdi!

p.s: Il club dei 27 piccolo club di Parma di appassionati di Verdi. Una vera chicca. Andate a vedere il loro sito.

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